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mercoledì 31 gennaio 2007

Necessita un tagliando

Ritorniamo sull'argomento 'oneri di urbanizzazione'. Non perché siano emerse novità rispetto a quanto indicato nel post di martedì 23 gennaio. Piuttosto, notiamo che le innumerevoli modifiche che una normativa ballerina ha apportato alla disciplina dell'utilizzo di questi proventi hanno indotto lo struzzo giallo a cadere in un tranello. La storia è vecchia e, per lungo tempo, l'unica possibilità che ci era data di utilizzare oneri in spesa corrente era limitata al 30% del totale e alla sola manutenzione ordinaria del patrimonio. Poi, l'abrogazione di quella norma, non sostituita da un'altra analoga, aveva mantenuto in piedi un sistema acefalo. La Finanziaria 2005 ha disciplinato sino a tutto il 2006 la destinazione dei proventi. Si è così giunti alla L. 296/2006 e alle sue indicazioni per il solo 2007.
Lo struzzo scrive, correttamente, che la codifica SIOPE ristabilisce una incontestabile verità della teoria economica applicata anche agli enti locali: gli oneri sono un'entrata comunque da destinare in via principale a spese di investimento. E, come tali, devono essere allocati nel titolo IV dell'entrata. Quello che non convince è il passaggio logico che segue, e cioè: poiché la Finanziaria 2007 stabilisce regole esclusivamente per l'utilizzo degli oneri nell'esercizio appena iniziato e non oltre, dal 2008 gli enti (fatti salvi eventuali ripensamenti del legislatore) non avranno più alcuna facoltà di utilizzarli per spese correnti, in nessuna percentuale. Ci sembra invece che, la normativa in vigore, affermi tutto il contrario. Nell'articolo, infatti, non si fa alcuna menzione dell'art. 49, c. 7, L. 27 dicembre 1997, n. 449 (Finanziaria 1998), mai abrogato, che testualmente recita: "7. I proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni di cui all'articolo 18 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni, e all'articolo 15 della medesima legge, come sostituito ai sensi dell'articolo 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, possono essere destinati anche al finanziamento di spese di manutenzione del patrimonio comunale." Il richiamo a una normativa abrogata (L. 10/1977) non travolge l'intero comma, perché i proventi in oggetto esistono ancora, benché sotto l'egida della legge subentrata nel frattempo (Dpr 380/2001). Il che, però, sta a significare, appunto, l'esatto opposto di quanto indicato dallo struzzo: gli oneri sono entrate in conto capitale, ma gli enti possono utilizzarli (salvo i vincoli stabiliti da altre norme, dalle barriere architettoniche alle opere di culto) tutti per finanziare la manutenzione ordinaria del patrimonio. Certo, non vi è alcuna possibilità di finanziare altre spese correnti, ma da qui a dire che il divieto è assoluto, ce ne corre. Un passaggio in officina sembra ormai indispensabile per il nostro struzzo.

martedì 30 gennaio 2007

Il tesoriere può attendere

La stagione delle interpretazioni ministeriali è appena iniziata e le cartucce in canna ai Ministeri risultano più enigmatiche di quelle (poche) già sparate. Ieri riferivamo della vexata quaestio sui collegi di revisione. Oggi, imbeccati da Il Sole-24 Ore, ci si imbatte in un documento in fase di emissione a cura dell'Agenzia delle Entrate che vorrebbe portare la necessaria chiarezza in merito alla facoltà di riscossione autonoma (diretta) dell'ICI. La Finanziaria 2007 ha abrogato infatti l'art. 59, c. 1, lett. n), D.Lgs. 446/1997 che permetteva l'introduzione regolamentare di sistemi di riscossione diretta dell'imposta. Da qui il panico diffuso tra gli enti che già avevano deciso di sganciarsi dai concessionari per intraprendere un percorso autonomo di introiti e controllo successivo. L'Agenzia sembra voler tranquillizzare questi enti, salvaguardandone le opzioni già effettuate. Le rimostranze delle amministrazioni (con l'evidente patrocinio delle associazioni di categoria) sono state ascoltate e i comuni che si sono già attivati potranno continuare a far pagare l'ICI attraverso specifici conti correnti postali e bancari o per il tramite della propria tesoreria. Ma è davvero così? Più di un dubbio, infatti, sorge se si fa un poco di mente locale. A luglio, con decreto d'urgenza poi convertito regolarmente in legge, fu introdotta una novità con decorrenza 2007 che, ad oggi, risulta ancora in vigore. Art. 37, c. 55, D.L. 4 luglio 2006, n. 223: "55. L'imposta comunale sugli immobili può essere liquidata in sede di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi ed è versata con le modalità del Capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241." Il legislatore è, tra l'altro, inadempiente, poiché non è ancora stato emanato il decreto ministeriale attuativo di cui lo stesso comma prevedeva l'emissione entro 120 giorni dall'entrata in vigore (già scaduti). La norma, in definitiva, pare non lasciare dubbi. Dal prossimo giugno, i contribuenti avranno piena facoltà di utilizzare il modello F24 per versare (eventualmente in compensazione con altri tributi, anche erariali) l'ICI. E non ci sono alternative. Così, la circolare potrà essere solo interlocutoria, poiché qualsiasi precisazione salva-riscossione nulla potrà contro l'avvento dell'F24 se non si metterà mano (prima del prossimo giugno) alla norma appena ricordata. Tutto lavoro inutile per l'Agenzia. Ai comuni restano le incertezze. Ma l'obiettivo del legislatore, qual è? Abbiamo qualche idea...

lunedì 29 gennaio 2007

L'ammutinamento

Come avevamo anticipato nel post di lunedì scorso, il Ministero dell'Interno sta elaborando la circolare che dovrebbe chiarire, presumibilmente ai primi di febbraio, le modalità di applicazione dell'art. 1, c. 732, della Finanziaria 2007 che attribuisce il collegio di revisione ai soli comuni sopra i 15.000 abitanti. La posizione del Ministero, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore di oggi, è appunto quella che garantisce i collegi ora in carica da una revoca immediata e rimanda alla scadenza naturale del mandato la nomina del revisore unico. In sostanza, verrebbero tacciati coloro che sin dall'inizio della polemica si erano schierati per un inequivocabile sì all'esautorazione senza indugi dell'organo collegiale. La presa di posizione era argomentata anche per analogia rispetto a quanto stabilito dal Ministero della Pubblica istruzione in una circolare (3 gennaio 2007, n. 1) che stabilisce che dal «1° gennaio 2007 non possono più operare i collegi dei revisori dei conti già nominati nelle singole istituzioni». C'è però un ulteriore coda alla querelle. I professionisti della revisione, infatti, non sono per niente soddisfatti dalla piega che sta prendendo il Codice delle Autonomie (che, mediando tra norma vecchia e nuova, fisserebbe a 10.000 abitanti il limite per il collegio a tre) e i Dottori commercialisti paventano addirittura l'estrema ratio: abbandonare i Comuni. Cosa accadrebbe in quel caso è certamente una primizia: nessun candidato di quell'ordine si proporrebbe per la nomina e, conseguentemente, nessun collegio potrebbe formarsi. En passant mi chiedo che diritto avrebbe il revisore in scadenza di abbandonare l'incarico, comunque prorogato fino alla nuova nomina. D'altronde, è solo un'ipotesi di scuola. Ma a essere davvero curiosa è la motivazione di tale sommovimento. Il revisore, quando è unico, non garantirebbe, secondo i commercialisti, sufficiente autonomia dei controlli. E perché mai? Perché è più facile influenzare un professionista, anziché tre, sostengono implicitamente. Ma allora il problema è del revisore che si fa influenzare, non della norma che fissa un limite. Dal ragionamento dei commercialisti, naturalmente, discenderebbe la necessità di avere tre revisori dappertutto, anche, al limite, nei comuni di 100 abitanti (e se la proposta non fosse questa, non si capirebbe perché sia stata imbastita la polemica). Ma allora, già che ci siamo, facciamo una proposta alternativa. Stabiliamo che non vi sia un limite al numero dei componenti (purché dispari, ovviamente), ma in entrambi i sensi. Escludiamo solamente i comuni davvero piccoli (diciamo sotto i mille abitanti), per i quali un revisore è indubbiamente più che sufficiente. E però lasciamo alle amministrazioni il compito di individuare la combinazione più adatta dell'organo, senza andare con il bilancino a scegliere un ragioniere, un revisore e un commercialista. Allo Statuto sarebbe lasciato il compito di fissare le norme generali da applicare poi nella nomina effettiva del collegio che in ogni caso è affidata al Consiglio con votazione plurima. La tendenza sembra però quella di una riduzione complessiva dei costi di questa natura. Tra qualche settimana, forse, i primi responsi. E forse, chissà, le prime defezioni.

domenica 28 gennaio 2007

All'indice

Pochi rapporti numerici ci disturbano come l'indice teorico di indebitamento. Ogni anno, all'approssimarsi della scadenza del consuntivo, già sappiamo che quel valore, calcolato ormai da tempo in automatico dalle innumerevoli procedure software, solleverà il fatidico quesito: "Ma davvero possiamo indebitarci così tanto?" La risposta non cambia mai, naturalmente: "Teoricamente, sì. Ma...." E le incomprensioni nascono proprio qui, sul sottilissimo confine che separa il debito possibile da quello desiderabile. Difficile convincere consiglieri di maggioranza in piena fregola da opera pubblica a contenere il proprio entusiasmo. Altrettanto arduo tenere a bada coloro che, dai banchi della minoranza, giocano al ribasso e provano a intimidirti con lo spauracchio della rigidità della spesa corrente. Tutto vero. Salvo che la teoria, di questi tempi, conosce momenti grami. E la pratica (cioè noi) non sa più che fare. Tanto più che, dal 1° gennaio e almeno fino al prossimo decreto ministeriale, conviveranno allegramente due valori soglia dell'indebitamento teorico ben diversi: quello da dichiarare in sede di rendiconto a partire dal 2008 (aumentato dalla Finanziaria al 15%) e quello, ancora vigente, da inserire fra gli otto parametri di deficitarietà (oggi fermo al 12%). Così potremo imbastire relazioni tecniche che svolazzano acrobaticamente fra due valori in totale contraddizione, benché, badate bene, entrambi da rispettare. Diciamo pure che per il 2008 il decreto sia emanato (e non ne dubitiamo). Ma come la mettiamo con la evidente sopravvalutazione dell'indice rispetto ad una selettiva e razionale gestione di risorse sempre più scarse? Vorremmo, cioé, che il rapporto fra entrate correnti e spesa per interessi fosse una volta per tutte fissato a un livello realmente sostenibile (non necessariamente uguale per tutte le realtà che, come ben sappiamo, esprimono bilanci molto diversi fra loro) impedendo agli uni (maggioranza) e agli altri (minoranza) di coinvolgerci in una diatriba eminentemente politica che non ci aiuta a prendere posizioni razionali ed efficienti. Per ora dobbiamo accontentarci di ripetere come l'eco: "Teoricamente, sì. Però...."

sabato 27 gennaio 2007

Imprevidenza

Fibrillano all'INPDAP, in queste settimane. 'Riforma delle pensioni' è più un anatema che una proposta politica da definire. Il TFR nei fondi d'investimento anche per i dipendenti pubblici, poi, è un altro miraggio senza oasi. E, con tutta evidenza, all'ente previdenziale che raccoglie i contributi di qualche decina di migliaia di lavoratori nelle autonomie stanno saltando i nervi. Tanto più che la Finanziaria (che quest'anno rappresenta davvero l'enciclopedia dell'aggiornamento legislativo per gli enti locali) ha previsto un incremento dell'aliquota CPDEL a carico del lavoratore, mantenendo invariata quella a carico del datore di lavoro. La norma è in vigore dal 1° gennaio, ma con una prima comunicazione del 18 gennaio la sezione provinciale INPDAP comunicava che: "La Direzione Centrale delle Entrate dell'INPDAP ha redatto una nota ufficiale, che è stata trasmessa al Ministero del Lavoro per acquisire il parere delle competenti commissioni, prima di essere diramata a tutti gli enti iscritti alle gestioni previdenziali INPDAP. Contestualmente la succitata Direzione, in attesa degli opportuni chiarimenti, ha suggerito di continuare a versare i contributi calcolati con le vecchie aliquote e di redigere la DMA secondo le disposizioni vigenti al 31/12/2006, in quanto il sistema informativo INPDAP non è stato ancora adeguato alla normativa vigente, riservandosi di fornire chiarimenti per la regolarizzazione delle posizioni pregresse." Un problema informatico dunque, che si accavalla con l'introduzione dell'allegato da inviare per posta elettronica, sempre a partire dal mese di gennaio. Da qui la richiesta agli enti "... che hanno già predisposto le denunce mensili "allegato 2" ed hanno già provveduto al pagamento degli importi con le aliquote maggiorate dello 0,3 per cento (...) di stornare i versamenti effettuati e di redigere le stesse denunce secondo le disposizioni vigenti al 31/12/2006."
Insomma, se hai rispettato la norma, mi spiace, hai commesso un errore. Perché te lo diciamo noi quando cominciare ad applicarla e, già che ci sei, devi anche preoccuparti di stornare (!) le somme già versate (ma se l'INPDAP le ha già incassate, non dovrebbe preoccuparsi anche di restituirle, considerato tra l'altro che il problema origina da lì?). I comuni, come di consueto, possono solo adeguarsi. Ma un'inaspettata rivincita era dietro l'angolo. Nemmeno una settimana dopo (purtroppo non sufficientemente tempestivo per chi nel frattempo è riuscito a bloccare i versamenti fatti correttamente in precedenza), ecco che un nuovo editto del sovrano (la Direzione centrale delle entrate dell'INPDAP) ribalta la situazione e smentisce se stesso, affidando agli uffici periferici il compito di fare doveroso atto di contrizione: "Com'è noto lo scrivente ufficio con la trasmissione n. 5/2007 del 18/1/2007, in attesa degli opportuni chiarimenti, aveva suggerito (!!! n.d.r.) di continuare a versare i contributi a carico dei dipendenti iscritti alla gestione previdenziale INPDAP calcolati con le aliquote contributive secondo le disposizioni vigenti al 31/12/2006 e di redigere la DMA secondo le stesse disposizioni. Con nota operativa n. 2 del 23/1/2007, che qui si richiama integralmente, la Direzione Centrale delle Entrate ha stabilito che le aliquote a carico dei dipendenti iscritti alla gestione previdenziale INPDAP subiscono l'adeguamento a seguito dell'applicazione dell'art. 1 comma 769 della Legge 27/12/2006 n. 296 (Legge Finanziaria 2007) e contestualmente tali adeguamenti contributivi hanno effetto sulle retribuzioni corrisposte a decorrere dal 1/1/2007 (il che era chiaro anche prima, però n.d.r.). Al fine di fornire chiarimenti sugli adempimenti amministrativi connessi all'applicazione della nota operativa succitata, si precisa quanto segue. (...)
- Gli Enti e le società che non avessero ancora effettuato il versamento e non avessero provveduto alla presentazione dell'allegato 2 dovranno adeguarsi alle nuove disposizioni.
- Gli Enti e le società, che non avessero ancora effettuato il versamento e tuttavia avessero già inviato l'allegato 2 applicando l'aliquota del 32,35%, dovranno trasmettere un nuovo allegato 2 e versare gli importi docuti secondo le nuove disposizioni. Nel momento dell'invio, sia via fax e sia via e-mail, dovranno specificare che il modello allegato 2 è in sostituzione di quello precedentemente trasmesso.

- Gli Enti e le società, che avessero già effettuato il versamento e avessero già presentato l'allegato 2 applicando l'aliquota del 32,35%, dovranno integrare la differenza dello 0,30% entro il 15/2/2007. A tal fine dovranno compilare un'allegato 2 esponendo, nel quadro periodo corrente, l'importo complessivo dell'imponibile contributivo e l'importo del contributo relativo alla sola integrazione."
(E a chi ha versato correttamente, ma ha poi seguito il suggerimento (!) stornando gli stessi mandati e poi li ha dovuti riemettere tali e quali, neppure uno straccio di scusa formale? n.d.r.)
E' chiaro che nelle sedi INPDAP gli inconvenienti in capo ai comuni derivanti da questa schizofrenica iniziativa (del tutto autonoma, come si è visto) non sono argomenti di interesse. Peccato, perché poi tutti i messaggi che ci giungono quasi quotidianamente dalle sedi periferiche INPDAP si chiudono con un invito a contattarli per ogni chiarimento. Ma dopo questa girandola, chi si fida più.

venerdì 26 gennaio 2007

Lei cosa mi consiglia?


Da un sito di spiritosi tecno-dipendenti recupero questo illuminante fumetto. Il cliente attonito davanti alle mille versioni proposte di Microsoft Vista è finalmente messo di fronte alla verità: il sistema operativo migliore è....un altro. Purtroppo, a parte gli happy few di sparuti uffici tecnici su e giù per l'Italia, gli enti locali subiscono il monopolio della casa di Bill Gates con i mille problemi di gestione che ne derivano (e le migliaia di euro che i consulenti hardware e software ci fatturano ogni anno). Può darsi che l'esempio del Comune di Roma (e prima ancora quello di Berlino), cioè installare Linux (e i conseguenti applicativi open-source) sui server municipali possa fare scuola. E', prima ancora che una previsione, un auspicio. Chi conosce Macintosh e il suo sistema operativo, sa di cosa parlo.

La garanzia è scaduta?

Da quanto tempo sentiamo ripetere le doléance dei segretari comunali (e provinciali) sulla speranza di vita della categoria? La polemica (in termini generali) risale a tempi lontani ma si acuì, come ricorderete, dopo una delle leggi denominate 'Bassanini'. Fu la L. 127/1997 ad abolire i pareri di legittimità sulle deliberazioni di giunta e consiglio e a ridefinire dunque il ruolo dei segretari da 'notai' di fatto a consulenti di diritto degli organi collegiali dell'ente. Le risorse della categoria, però, si rivelarono come sempre insospettate. Nacque, infatti, la figura del direttore generale della quale in verità nessuno è mai riuscito a dimostrare la necessità e che, in questo modo, è stata (ed è) troppo spesso utilizzata per rimettere in corsa, con il beneplacito, ovviamente, delle amministrazioni più compiacenti o meno accorte, segretari ormai senza funzioni operative. Tutta la normativa è poi confluita nel TUEL e da lì si deve ripartire. Ora è ricominciato il balletto delle rimostranze, perché il Codice delle Autonomie è un cantiere aperto che potrebbe sancire novità di primo piano anche in questo ambito. Un intervento di Angelo Capalbo (segretario e d.g. di un comune toscano) sullo struzzo giallo (v. post precedente) di oggi ha un po' il sapore di un racconto alla Poe.
Un brivido di terrore deve infatti essere passato nella schiena dei segretari allorché si sono accorti che nel testo del DDL delega che prelude al CdA nessun accenno (a differenza che nel TUEL coordinato con la L. 131/2003) è fatto alla 'assegnazione al segretario comunale e provinciale di compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa allo scopo di assicurare la conformità dell'attività amministrativa alla legge, allo statuto e ai regolamenti'. Scaricati senza rimorsi? Lasciati al loro destino? Naufraghi del diritto amministrativo? Più probabilmente, sperando che la volontà del legislatore sia presto chiarita, si tratta di un passaggio di consegne. Non più dirigenti dello Stato (garantiti dalla legge) ma dirigenti dell'ente locale (e come tali garantiti da CCNL, Statuto e regolamenti collegati). Parlerei dunque di riduzione di privilegi e di ridefinizione di figura giuridica, anche perché i più giovani iscritti al fatidico albo assumono su di loro tutto il peso della svalutazione professionale abbattutasi sulla categoria in questi ultimi lustri, senza aver potuto dimostrare sul campo la propria competenza. Credo di non essere l'unico a pensare che siano soprattutto i segretari di lungo corso a essere riusciti a farsi assegnare l'incarico di d.g., forti di un carisma o semplicemente di un ascendente verso i sindaci acquisito con gli anni, ma deboli di una preparazione manageriale del tutto improvvisata (salvo le eccezioni del caso). Ora, pare, questo 'certificato di garanzia' potrebbe essere riscritto. Tutto ciò ha un vago sapore di 'giustizia poetica', ma la norma è ancora in bozza. Le lobby sono già al lavoro? Conclude Capalbo: "E allora non ci rimane altro che rivolgere un appello. Se nel memorandum d'intesa sul lavoro pubblico siglato tra governo e sindacati, investire nella qualità della p.a. è ritenuto un obiettivo indispensabile per dare efficacia all'azione pubblica, buon andamento e legalità, nel comune e nella provincia, l'ottimale funzionamento si otterrà solo se si continuerà ad utilizzare la risorsa essenziale del segretario, anche se si impone una rivisitazione sulla base delle nuove esigenze degli enti locali." Sottoscriveremmo l'appello senza esitazione se si facesse un minimo di autocritica e si eliminasse quell'aggettivo così tranciante accanto a 'risorsa'. Capisco lo spirito di corpo, però anche il senso dell'umorismo non difetta da quelle parti...

giovedì 25 gennaio 2007

Lo struzzo giallo


Quando leggo un quotidiano specialistico mi aspetto, come minimo, che sulle notizie rilevanti non faccia come la rosea (che a nove colonne sparava cose del tipo: "Maradona alla Juve", ma nel sottotitolo si affrettava a precisare: "La notizia smentita anche dal presidente della Fiat"). E invece non è la prima volta che un noto foglio finanziario (non vi sarà difficile scoprirlo, sono così pochi...) si premura di informare la platea dei lettori che il Ministero ha emesso un'importante circolare (addirittura stavolta con il titolo: "Bilanci alla prova personale" e il sottotitolo: "Previsioni di spesa da comunicare entro il 28/2"), attirando l'attenzione di tutti, ma proprio tutti, i responsabili finanziari. L'articolo, dunque, attacca così: "La previsione delle spese per il personale, che dovrà tenere conto delle limitazioni contenute nella Finanziaria 2007 (legge n. 296/06), deve essere comunicata dagli enti pubblici entro il 28 febbraio." Accidenti, non so neppure se per quella data avrò il bilancio approvato; bisogna darsi da fare e accelerare i tempi. Poi, non pago, l'autore prosegue: "È quanto ha precisato la Ragioneria generale dello stato nella circolare n. 2/2007 con la quale sono state dettate le prime istruzioni per la compilazione degli allegati delle spese di personale al bilancio di previsione 2007. Una rilevazione che interessa diversi comparti oltre a quello degli enti pubblici non economici." Mmmh... Comincio a subodorare l'ormai nota manfrina. E infatti, la riga dopo: "... sono tenuti all'adempimento anche quello dell'università, l'Aran e alcuni degli enti ex art. 70 del dlgs n. 165/2001 (Enea, Cnel, Asi, Enac e Unioncamere)". Mi resta un dubbio, però. L'articolista ha appena scritto "anche", quindi a chi è indirizzata di fatto la circolare? Ma da qui in poi, tutto è vago, generalizzato. Come se le comunicazioni richieste dalla RGS siano estese a molti più comparti di quelli accennati poco prima. Non resta che risolvere il dubbio scaricando dal sito del Ministero il .pdf della circolare. Non si impiegano più di dieci secondi, completato il download, per svelare il trucco. La richiesta è a carico di (e solo di): Enti pubblici non economici, Istituzioni ed Enti di ricerca, Università degli studi, A.Ra.N ed Enti art.70, c. 4, d.lgs. 165/2001 (Cassa DD.PP., enti lirici ecc.). C'è una precisa volontà di disinformare, dietro questo tipo di giornalismo. Anche perché se veramente si volessero informare i soli interessati, basterebbe inserire all'inizio le parole magiche "tranne gli enti locali" e il gioco sarebbe fatto. Non si chiede un trattamento privilegiato, ma il rispetto minimo dovuto a una categoria di lettori, paganti, così numerosa.

mercoledì 24 gennaio 2007

Patto chiaro...amicizia lunga

Le polemiche sulle nuove regole del patto di stabilità stanno aumentando, anche in vista della prossima scadenza del bilancio di previsione 2007. Le associazioni dei comuni non ci stanno e propongono percorsi diversi per i comuni virtuosi. Ecco, ad esempio, la lettera inviata ai comuni lombardi con più di 15.000 abitanti dall'ANCI regionale per richiedere alcuni dati da girare al Ministero competente, con l'obiettivo di rivedere la normativa che obbliga questi enti ad approvare preventivi con stanziamenti in linea con il patto:
"A seguito di precorsa corrispondenza comunico che successivamente ad essa il Ministero E.F. e ANCI nazionale hanno precisato che è necessario conoscere la “dimensione del fenomeno”.
E’ quindi indispensabile che ciascun Comune comunichi a questa ANCI regionale:
1. Se per effetto della norma che richiede il rispetto del patto a preventivo codesto Comune si trova o meno nella impossibilità di rispettare il principio del pareggio del bilancio preventivo dell’esercizio 2007;
2. Qual è l’importo degli investimenti già previsti nell’elenco annuale 2007 deliberato, da togliere a causa del meccanismo del Patto che non consente (o riduce) l’assunzione di nuovi mutui agli Enti che non hanno assunto (o hanno assunto in misura modesta) mutui nel triennio 2003-2005;
3. Qual è l’importo degli investimenti, come sopra individuati, da tagliare per il divieto di conteggiare l’avanzo di amministrazione."
In tutta Italia, rileviamo, i comuni con più di 15.000 abitanti sono circa 700, cioè meno del 10% del totale. E' vero che il patto di stabilità coinvolge solo gli enti di dimensioni ragguardevoli (e comunque sopra i 5.000 abitanti ci sono circa 2.400 comuni su 8.100), ma è evidente che l'ANCI è ormai l'ANGCI, l'associazione nazionale grandi comuni italiani. A dire il vero, sarebbe ora che ciò fosse riconosciuto ufficialmente, poiché troppo diversi, pur nella ampia condivisione di compiti, adempimenti, procedure, ecc., sono i percorsi amministrativi tra entità demograficamente così lontane fra loro. Le rivendicazioni dei grandi non coincidono praticamente mai con quelle dei meno grandi (all'interno di un'ideale tripartizione fra: città, comuni con più di 10.000 abitanti, tutti gli altri). Così anche il nuovo codice delle autonomie dovrebbe prendere atto in modo esplicito di tale specificità e approvare norme differenziate per ciascuna fascia demografica. I comuni d'Italia, in fondo, in comune non hanno moltissimo.

martedì 23 gennaio 2007

Finanziaria enigmistica


Anche i proventi da permessi di costruire (anche se 'oneri di urbanizzazione' non è ancora scomparso dalla terminologia corrente, e dubito che ciò accada ancora per qualche anno) sono stati interessati dal ciclone Finanziaria 2007. E rispetto ai limiti della Finanziaria 2005 che si estendevano al bilancio di previsione 2006 (un massimo del 50% del totale incassato poteva essere destinato a spese correnti), la L. 296/2006 ne propone addirittura un ampliamento. Così ora, e, salvo successive modifiche, ciò vale anche per gli esercizi dal 2008 in poi, una percentuale complessiva massima del 75% è utilizzabile per spese correnti e manutenzione ordinaria del patrimonio. Come accade spesso, però, gli estensori del comma hanno voluto farci partecipi del loro entusiasmo enigmistico e ci chiedono di risolvere il seguente rompicapo: a) poiché è consentito finanziare spese correnti per il 50% dei proventi; b) poiché le spese relative alla manutenzione ordinaria del patrimonio sono spese correnti; c) poiché è possibile finanziare con un ulteriore 25% di oneri solo queste ultime, qual è la percentuale di oneri destinabile, al limite, per manutenzione ordinaria? A me sembra proprio che la risposta sia: 75%. A quella percentuale si può tranquillamente arrivare, direi, poiché il comma 713 non specifica che le spese correnti finanziate con il primo 50% devono essere differenti dalle manutenzioni. Sembrano questioni di lana caprina e invece sono, mi sembra, problemi di buona redazione di norme. Infatti, se l'intenzione del legislatore è quella di estendere la percentuale massima, bastava scrivere che la percentuale complessiva utilizzabile è del 75%. Se, al contrario, si vuole che solo il 50% degli oneri serva a finanziare spese non manutentive, sarebbe stato più esplicito scrivere che, fatta salva la percentuale complessiva del 75%, per spese correnti non manutentive non si possono utilizzare più del 50% degli oneri introitati. Si ricava peraltro che tertium non datur: non è lecito interpretare la norma altro che nei due modi sopra indicati. Le soluzioni nella prossima circolare ministeriale.

lunedì 22 gennaio 2007

Sembra facile

A quanto pare, invece, di risolto non vi è nulla. E, giocoforza, è corretto tornarci su. L'altro giorno raccontavo la storia del sindaco che voleva revocare immediatamente i suoi tre revisori per nominarne uno nuovo di sua stretta osservanza. Mi sembrava l'esempio perfetto dell'amministratore che piega le norme a suo esclusivo vantaggio, senza verificarne la portata o, almeno, il senso. Che, a mio parere, poteva essere solo uno: la norma riscrive l'articolo del Testo unico che stabilisce quali comuni sono tenuti a nominare un collegio di revisori anziché il revisore unico. La stessa norma, entrata in vigore con la Finanziaria il 1° gennaio 2007, non propone alcuna disciplina transitoria e ciò mi sembrava sufficiente a ritenere che la revoca immediata dei collegi non avesse sufficienti basi giuridiche. Evidentemente, mi sbagliavo. Almeno così si direbbe leggendo i due maggiori quotidiani economici, i quali si dividono in modo netto. Uno, quello giallo, nel suo consueto fascicolo annuale sulla manovra finanziaria, non ha dubbi e sostiene che la revoca è necessaria proprio perché non esiste alcuna norma transitoria che tuteli i collegi a tre. L'altro, quello rosa, attraverso il suo settimanale sugli enti locali, mantiene inizialmente una posizione neutrale, dando conto anche dei dubbi di chi sostiene che la norma non può essere retroattiva. Poi però, esprime un chiaro orientamento (certo dettato dalla prudenza dei migliori legali amministrativisti) verso la tendenza che nega la legittimità della revoca e invoca a sostegno l'ipotesi tutt'altro che improbabile che i revisori revocati promuovano senza indugio un'azione legale contro le Amministrazioni revocanti, con una freccia importante al proprio arco: l'assoluta assenza di giusta causa nel provvedimento che li rimanda a casa. In conclusione, l'ipotesi estrema sembra non voler tener conto delle ragioni dei professionisti in carica. L'ipotesi prudenziale, invece, chiede un intervento chiarificatore del Ministero dell'Interno (più competente, credo, rispetto a quello diretto da Padoa Schioppa). Nel frattempo confermiamo la posizione già espressa in precedenza. Nessuna revoca immediata, senza una norma espressa. Attendendo la circolare....

domenica 21 gennaio 2007

Una o due?

Il via libera che, dopo tre anni di blocco, restituisce alle amministrazioni locali la facoltà di ritoccare nuovamente le aliquote dell'addizionale comunale all'IRPEF è stato salutato con una varietà di prese di posizione raramente viste in precedenza. Quelle più interessanti sono arrivate da alcuni economisti di levatura nazionale che hanno esaminato il tema sotto il profilo distributivo: le addizionali locali peggiorano o migliorano gli effetti dell'IRPEF così come è stata rivista e corretta dalla L. 296/2006. La questione merita un approfondimento a parte. Dal punto di vista tecnico, invece, si può fin d'ora dare qualche indicazione. Le novità principali che emergono dai commi 142-144 della Finanziaria 2007 sono: l'innalzamento del tetto massimo dell'aliquota (che può arrivare in un solo anno allo 0,8%), l'applicazione del sistema degli acconti per la riscossione da parte dell'erario, ma soprattutto la nuova procedura di applicazione. Ora, infatti, è necessaria la maggioranza in Consiglio comunale per approvare le nuove o maggiori aliquote. Inoltre, non basta una semplice deliberazione. Bisogna passare attraverso l'adozione di un regolamento. Cosa fare, dunque? Proporre un'unica deliberazione che approva il regolamento e, contestualmente, fissa l'aliquota, oltre a stabilire le eventuali fasce di esenzione, oppure sdoppiare il provvedimento, adottando prima il regolamento (che contiene tutti gli elementi necessari) e lasciando solo ad una seconda deliberazione (sempre consiliare) l'individuazione effettiva dell'aliquota da applicare? Propendo per la seconda soluzione. La lettera della norma non esclude, infatti, che il regolamento fissi i criteri generali e che il Consiglio li attui in un secondo momento adeguando l'aliquota. Teoricamente, seguendo questa ipotesi, si può dare il caso di un Consiglio che approva il regolamento e poi decide (ritengo, del tutto legittimamente) di non applicare per quell'esercizio l'addizionale. In questo modo, il regolamento conserva la sua caratteristica di norma generale e, di anno in anno, il Consiglio mantiene la facoltà di rivedere la sola aliquota, lasciando inalterato il regolamento. Non è comunque possibile stabilire un parallelo con la tassa di scopo, poiché in quel caso la norma richiede esplicitamente che il regolamento fissi, tra l'altro, l'aliquota.

sabato 20 gennaio 2007

Una bella media

Giri sul web, cerchi qualche notizia interessante. Non molti hanno cose da dire intelligenti. Allora ti rifugi nel 'senno di poi': chissà se a quello gli hanno dato retta; chissà se quell'altro avrà mantenuto le promesse. Ed ecco la pagina giusta. Sul sito dell'ANCI trovo un comunicato ufficiale del suo presidente, Sindaco di Firenze, pre-voto finale alla Finanziaria, a perorare la causa dei Comuni italiani: Apprendiamo che in queste ore il Governo starebbe approntando il testo definitivo del maxiemendamento alla Finanziaria. L’ANCI, i Comuni italiani, ricordano di aver presentato alcune proposte di modifica della stessa Finanziaria. Si tratta di proposte che autorevoli esponenti della maggioranza, hanno definito nei giorni scorsi, ricevendo in Senato una delegazione di amministratori locali, ‘’non sconvolgenti’’. Nella certezza che le stesse proposte saranno valutate attentamente dal Governo, ricordiamo soltanto i sei punti che sintetizzano le proposte dei Comuni italiani. 1) Eliminare l’estensione delle regole del patto di stabilità ai Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti; 2) Riportare i fondi per i piccoli Comuni alla dotazione del 2003; 3) Conferire ai Comuni la possibilità di istituire tributi di scopo, straordinari, a tempo determinato per finanziare nuove infrastrutture e servizi; 4) Prevedere una compartecipazione dei Comuni all’accertamento dell’evasione fiscale e stabilire una conseguente quota di partecipazione al gettito (almeno un terzo); 5) Prevedere la facoltà per i Comuni di scegliere fra la regola del patto di stabilita’che stabilisce un incremento del 4,8% sulla spesa del 2003 e la regola che stabilisce un incremento dell’11,5% sulla media degli anni 2001-2003. In alternativa i Comuni considerano migliore la regola del 4,8%; 6) Modificare la norma che prevede la riduzione della percentuale di indebitamento dei Comuni sui tre titoli di bilancio della sezione entrate.’’
Evidentemente i comuni contano ancora qualcosa. Ne ha azzeccate cinque su sei. Bella media, non c'è che dire. Poi mi è scappato l'occhio sulla data in fondo alla dichiarazione. 13 dicembre 2004. Ah, ecco....

venerdì 19 gennaio 2007

....è partecipazione

Curiosa l'idea di questo Sindaco avellinese: l'altro giorno ha inviato a tutti i suoi concittadini una lettera, nella quale chiede di dare alla Giunta indicazioni su come destinare nel prossimo bilancio le risorse a disposizione dell'amministrazione. Siamo nel terreno minato del bilancio partecipativo, nella variante 'a domicilio', però. Le famiglie residenti dovranno, se vorranno, compilare una sorta di scheda nella quale indicheranno quali interventi (purché di entità limitata) ritengono necessari per migliorare la vita del comune, anche rispetto alle infrastrutture già esistenti (acquedotto, rete viaria) e ai servizi alla persona. Tuttavia, in questo modo, senza confronto diretto, la presunta democrazia partecipativa rimane a livello di sondaggio. Dimmi cosa vuoi e, se ho euro a sufficienza, vedrò di accontentarti. Salvo che la risposta dei duemila cittadini sia davvero massiccia. In questo caso, sarebbe davvero difficile esaudire tutti i desideri e gli amministratori dovrebbero selezionare gli interventi. Ma, avendo introdotto un meccanismo di partecipazione, stavolta ascolteranno (in senso proprio) i cittadini. «Questa nostra iniziativa -ha spiegato il Sindaco Vito Iuni - è un nuovo modo di amministrare coinvolgendo in pieno tutti i cittadini.» Ha ragione. Tanto che il vecchio modo se lo sono dimenticati un po' tutti. Ti eleggo, possibilmente sulla base di un programma chiaro, e poi controllo (lo Statuto come garanzia) che tu lo rispetti. Se devo aspettare che tu, amministratore, chieda a me elettore (che magari non ti ha neanche votato) come gestire la macchina comunale, si è inceppato qualcosa nell'ingranaggio democratico. Populismo? Forse no. Demagogia? La buona fede si presume, sempre. Piuttosto una malintesa interpretazione del rapporto delegante/delegato. E se nessuno restituisse il questionario?

giovedì 18 gennaio 2007

Revisionista

Oggi mi hanno raccontato questa storia. In un comune calabrese, un Sindaco intraprendente ha letto attentamente l'ultima Finanziaria. Dopo lunghe e non sempre divertenti analisi è arrivato al comma 732. E non gli è sembrato vero! Potersi liberare senza troppi problemi di quei tre fannulloni rompiscatole, lautamente pagati che ogni tre mesi mi verificano la cassa e almeno altre due volte l'anno scrivono papiri sul mio bilancio.
E ha subito fatto predisporre una deliberazione per revocargli il mandato, a quei tre! Anzi, è già pronto il nuovo controllore. Sai quel mio amico revisore, che ha già qualche incarico qui attorno (ma tanto la deroga è sempre possibile)? Sarebbe perfetto per la parte.
Speriamo solo che non ci si metta il ragioniere. Quello vecchio è appena andato in pensione, per fortuna. Ora dovrei dare al giovanotto la responsabilità. Se se lo merita, nessun problema. Non sia mai però che gli venga in mente di dare un parere negativo. E' una norma così limpida... "Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, (...) la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore...". E siccome la Finanziaria è in vigore dal 1° gennaio, quei tre li posso mandare a casa subito, anzi, retroattivamente, così non gli pago neppure il rateo di questi venti giorni.....
Non conosco il giovane ragioniere, ma proprio perché è giovane ha chiesto un consiglio. Sa già bene cosa fare. Vuole solo una conferma. Non aspetterà circolari o decreti esplicativi. E' una norma così limpida....

mercoledì 17 gennaio 2007

Alka Seltzer

Quanto tempo è necessario per 'digerire' 1.364 commi in un solo articolo?

martedì 16 gennaio 2007

A che scopo?

Letto in ritardo su Commercialista Telematico questo interessante commento di Maurangelo Rana sulla nuova Imposta di scopo, pubblicato prima dell'approvazione definitiva della Finanziaria. Il testo della norma è variato solo nel punto relativo ai rimborsi, dopo l'ultimo passaggio al Senato (a parte il gigantesco coacervo di commi nell'unico articolo rimasto), quindi possiamo analizzare il commento sostanzialmente come fosse nuovo. Si tratta in verità di una serie di obiezioni all'introduzione dell'imposta. Vediamole in dettaglio: 1. Obiezione di tipo storico: Non è un tributo nuovo. Osservazione vera solo in parte, poiché è la prima volta che i Comuni possono modulare un'aliquota per finanziare opere pubbliche. 2. Obiezione di tipo tributaristico: Non è un'imposta. Ineccepibile. Finalmente è possibile ricordare al "legislatore" qual è la differenza fra imposte, tasse, contributi. 3. Obiezione di tipo giuridico: Non è chiaro se finanzia una o più opere pubbliche. Il comma 2 sembra però chiarire che, nel regolamento, si può istituire l'imposta per finanziare una sola opera. 4. Obiezione di tipo utilitaristico: Nei comuni di dimensioni ragguardevoli, un'opera realizzata in un quartiere verrebbe pagata in parte da tutta la collettività. Qualcuno ha notizia di mutui il cui ammortamento è finanziato dagli abitanti di un solo quartiere? 5. Obiezione di tipo regolamentare: Poiché è introdotta dal 1.1.2007, se il bilancio non fosse stato prorogato, sarebbe stata applicata solo dal 2008. Vero. Anche se, credo, quando la norma è stata proposta, già era nota la volontà di spostare i termini del preventivo 2007. 6. Obiezione di tipo assicurativo: I contribuenti sarebbero poco tutelati in ogni caso. Serve assolutamente un chiarimento sul problema del rimborso nel caso di opera iniziata ma non finita. La norma è cambiata proprio nei termini del rimborso, che sono calati a due anni dai cinque inizialmente previsti. Non solo, ma si è risolto anche il dubbio sulla natura prescrittiva o decadenziale dei termini: il contribuente non deve effettuare alcuna richiesta, poiché il Comune è tenuto ad effettuare i rimborsi d'ufficio, entro i due anni dal mancato inizio.