Too Cool for Internet Explorer

lunedì 14 maggio 2007

Cartellino giallo

Deve essere addirittura il Consiglio di Stato ad affermare che: "Il segretario comunale, come tutti i dipendenti, è tenuto all'osservanza dell'obbligo dell'orario di ufficio e alla conseguente timbratura del cartellino marcatempo attestante la presenza in ufficio."? La questione è stata affrontata per il titolare della sede di segreteria di un comune che nel lontano 1994 (tredici anni sono davvero un tempo biblico, anche per una giustizia come la nostra, in un caso del genere) era stato censurato dalla Prefettura per essersi presentato al lavoro in ritardo. A parte il fatto che, non vi è ombra di dubbio, i suoi rapporti con il Sindaco non dovevano essere idilliaci, altrimenti quest'ultimo non avrebbe mai segnalato alla gerarchia superiore l'insubordinazione del suo più alto collaboratore, mi chiedo perché si sorvoli, anche di fronte alla scelta inevitabile della massima magistratura amministrativa, su un dato di fatto pressoché incontrovertibile: i segretari comunali non timbrano. Le eccezioni a questa regoletta aurea sono rappresentate, nell'ordine, da: segretari di prima nomina timorosi del sindaco che li ha nominati; segretari di medio corso, con scarsissima stima di sè stessi; segretari puniti per mancata timbratura dopo aver violentemente litigato con il sindaco di turno. Fatta una rapida sottrazione, restiamo con qualche migliaio di funzionari/dirigenti che, sistematicamente, considerano la timbratura un'ingerenza insopportabile nella propria autonomia lavorativa, un'umiliazione da cui fuggire, quasi che lo status di superiorità gerarchica fosse intaccato da un semplice passaggio (almeno due, in verità) del badge magnetico nel lettore appeso al muro. La difesa più comune in questi casi è: il segretario svolge un'attività affatto diversa da quella degli altri dipendenti, con responsabilità superiori e orari che si possono prolungare ben oltre la tarda serata in occasione di giunte o consigli. Ma quest'ultima obiezione potrebbe valere, appunto, solo nei giorni in cui le sedute sono convocate. E negli altri giorni? Il segretario, oggi, non esprime più neppure il parere di legittimità sulle deliberazioni e quando emette proprie determinazioni lo fa in quanto responsabile di un servizio, a ciò destinato dal Sindaco. Quale sarebbe la differenza con gli altri funzionari? In effetti, una differenza c'è, volendo essere venali. Ma qui interessa il punto di diritto. Certo, il prestigio di una volta oggi è, per i segretari, un'amara chimera. Cedere a questo estremo e sottile ostacolo che li divide dalla normalità, allora, è il colpo di grazia alle speranze, mai sopite, di una resurrezione dell'intera categoria. Se vogliono, il tesserino glielo forniamo nella versione gold.

domenica 13 maggio 2007

Dalla terra alla luna

Sul sito del Dipartimento per l'Innovazione e le Tecnologie è apparso pochi giorni fa il seguente comunicato: "Approvato oggi in sede di Conferenza unificata il decreto interministeriale del Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione e il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, che determina le finalità secondo cui saranno utilizzate le risorse del "Fondo per il sostegno agli investimenti per l'innovazione negli Enti locali", previsto dall'articolo 1, comma 893, della Legge Finanziaria. Il provvedimento, che ha raccolto il parere favorevole delle Regioni e degli Enti locali, stanzia 15 milioni di euro per il 2007 per realizzare progetti di innovazione tecnologica in 4 specifici ambiti: a) gestione integrata della logistica e della infomobilità nel trasporto pubblico locale, mobilità urbana ed extraurbana; b) sistemi di misurazione, basati su tecnologie ICT, per la valutazione della qualità dei servizi erogati dagli enti locali; c) gestione digitale integrata dei servizi degli enti locali in materia fiscale e catastale mediante modelli di cooperazione applicativa a livello locale, regionale e nazionale; d) integrazione e potenziamento dei Sistemi Informativi del lavoro. Il Sottosegretario per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, Beatrice Magnolfi, ha espresso viva soddisfazione per i tempi brevi con cui è stato varato il provvedimento, poiché rappresenta un chiaro segnale dell'attenzione che questo Governo riserva al tema dell'innovazione tecnologica applicata al funzionamento degli enti locali. "Non saranno finanziati micro-progetti, il nostro obiettivo – afferma il Sottosegretario - è quello di sostenere esclusivamente iniziative che siano integrate con la programmazione regionale e che vedano coinvolte un consistente numero di amministrazioni. I progetti dovranno essere riproducibili, per poterli disseminare, attraverso il riuso, su tutto il territorio nazionale." Il Sottosegretario sottolinea l'importanza dei sistemi di misurazione della qualità dei servizi. "Occorre dare voce ai cittadini attraverso le nuove tecnologie. E' una nuova frontiera su cui gli Enti locali possono essere in prima fila per l'affermazione dei principi meritocratici nella PA." (...)" Il metodo di assegnazione del fondo, dunque, è chiaro: i progetti dovranno essere approvati dalla rispettiva regione e non potranno interessare singole amministrazioni. Idealmente, questo criterio risponde a stringenti logiche di economicità ed efficienza. La riduzione dei costi è palesemente più probabile nel caso di associazioni di comuni che non in quello di programmazioni ristrette a poche realtà o esercitate in splendida anarchia. E però occorre chiedersi come saranno concretamente gestite le risorse (che, a dirla tutta, sono pochine: meno di un milione di euro a regione). Quando si dice "consistente" numero di amministrazioni, a che quantità ci si riferisce? Più è alto il numero, più è facile aspettarsi un coordinamento da parte della regione che, per mettere d'accordo tutti, dovrà sostanzialmente imporre il proprio punto di vista. Con le somme a disposizione, forse, sarebbe stato più opportuno incentivare l'informatizzazione seria dei comuni italiani, non potendo dimenticare che, al di là della diffusione inevitabile del PC negli uffici della PA, solo le realtà più grandi hanno sviluppato al loro interno competenze adeguate a una cittadinanza giustamente sempre più esigente. Mi riferisco in particolare alla necessità di siti internet ben attrezzati e accessibili, a sportelli per l'utenza che riducano le file al minimo indispensabile, a una più fitta corrispondenza via posta elettronica in luogo di quella cartacea (sempre più incerta, dati i numerosi recenti disservizi del monopolista privato). Se le proposte che dovessero arrivare da qualche Unione o Consorzio di comuni fossero interessanti, perché escluderle a priori? Perché passare sempre dalle Regioni, che sembrano diventate il nuovo baluardo del decentramento fallito?

sabato 12 maggio 2007

La corrente degli investimenti

Cosa vuol dire esattamente: "I consiglieri comunali, per realizzare la «buona fede» prevista dalla legge 20/1994 (articolo 1, comma 1-ter) devono dimostrare di aver agito in prima persona per acquisire tutti gli elementi necessari a una valutazione consapevole della spesa oggetto della delibera."? Lo stridio giunge forte alle orecchie dopo aver appreso che la sezione Umbria della Corte dei conti ha ritenuto improcedibile una richiesta di risarcimento per danno erariale derivante dall'emissione da parte del Comune di Terni di BOC per finanziare spese correnti. Chi ha votato le deliberazioni non sarà chiamato a risponderne per mere ragioni procedurali, a quanto sembra, ma il ragionamento che la Corte si impegna comunque a concludere soddisfa solo parzialmente la sete di chiarezza che alberga nella pubblica amministrazione. Come rilevato dal Lenzuolo rosa: "I magistrati contabili sottolineano che la decisione di finanziare con debito spese correnti «si caratterizza come ipotesi di illecito in cui rileva la colpa grave». La colpa, secondo la sezione umbra, non nasce con l'adozione della delibera ma con la sua esecuzione, e soprattutto va misurata in termini inversamente proporzionali «allo sforzo di diligenza impiegato dall'amministratore che vota la delibera per conoscere la natura della spesa da finanziare»." Siccome l'importo complessivo dei buoni emessi per finanziare spese correnti è di 34 milioni di euro e le emissioni si sono verificate in un arco temporale triennale, chi avrà mai l'impudenza di sostenere che può dimostrare la propria buona fede. Anche perché si tratterebbe di provare oltre ogni ragionevole dubbio che, a ogni proposta di emissione, i consiglieri si prodigavano in lunghe e dotte dissertazioni sulla natura pluriennale di una spesa, per giustificare soprattutto a loro stessi che stavano mettendo in atto un meccanismo economicamente coerente e non un'immane castroneria. Piuttosto, si intravede un gigantesco concorso di colpa, che coinvolge i tecnici che, a quanto pare, hanno sempre dato parere favorevole all'adozione di quelle deliberazioni, i revisori, che brillano per assenza proprio quando ne viene esaltato il ruolo centrale nel controllo sugli enti, e gli istituti di credito che hanno concretamente messo sul mercato le obbligazioni, a ulteriore dimostrazione che pecunia non olet, figuriamoci quando è così abbondante.

venerdì 11 maggio 2007

Tutti al mare

In un intervento sullo Struzzo giallo di oggi, il presidente della sezione Marche di Ancrel ricostruisce a beneficio di coloro che non hanno seguito l'ultima edizione di EuroPA il caso aziendale del Comune di Falconara Marittima, ente sotto i riflettori per l'entità dello squilibrio finanziario che porterà ad un disavanzo d'amministrazione 2006 di circa € 12.000.000,00. La premessa così sapida è necessaria a Borghi per una tirata finale sulla centralità del Consiglio comunale: "Il consiglio nazionale dell'Ancrel ha ritenuto che il consiglio comunale sia e debba restare il massimo organo dell'espressione democratica locale e se per qualche motivo tale organo non riesce a svolgere la propria funzione d'indirizzo e di controllo non si può pretendere che la svolga l'organo di revisione da solo." Cosa vuol dire esattamente? Che i revisori possono permettersi di guardare dall'altra parte perché il Consiglio comunale non ha adottato le necessarie misure per evitare il formarsi del disavanzo? Non serve una laurea in economia delle pubbliche amministrazioni per rendersi conto che sono i revisori, molto più che i consiglieri, ad avere potenzialmente sottocchio tutta la documentazione necessaria a verificare l'andamento del bilancio comunale. Prima della ormai preistorica L. 142/1990, si sa, la "revisione contabile" era affidata proprio a un mini-pool di volonterosi consiglieri comunali che si prestavano a donare qualche pomeriggio del proprio mandato a controllare, senza alcuna pretesa di competenza tecnica, il già allora illeggibile conto consuntivo. Oggi è pur vero che i consigli rappresentano l'organo supremo del Comune, ma essi nominano i revisori (professionisti) proprio perché svolgano in loro nome (e di quello dell'ente che essi rappresentano) le indispensabili funzioni di auditing. Perché concludere l'intervento lasciando l'impressione che della gravità della situazione di specie (e, per estensione, di tutte quelle potenzialmente in circolazione) non debbano sentirsi responsabili ex-aequo Collegio a tre e Consiglio comunale? Se nel pezzo si trova il tempo di citare (per nome e cognome, con buona pace di ogni riservatezza) Segretario/DG e Responsabile di ragioneria, perché non si fa neppure un accenno ai tre revisori in carica? La proposta finale di Criso riecheggia quella in circolazione da qualche settimana: che sia la Corte dei conti a proporre una terna di nomi all'interno della quale il consiglio comunale scelga il presidente del collegio di revisione. Ma anche un filtro così autorevole non può garantire al 100% che il Collegio possa in ogni caso evitare il formarsi di situazioni come quella di Falconara. Sembrerebbe necessario, allora, affrontare direttamente il lato meno gradevole della vicenda, e che, insieme ai dirigenti, pure i revisori dell'ente si assumano la loro fetta di responsabilità.

giovedì 10 maggio 2007

Alla stazione c'erano tutti

Secondo alcuni osservatori, la recentissima reintroduzione della dichiarazione ICI, imprevista ma non imprevedibile, vista l'assenza di certezze sull'avvio del sistema di interscambio dati tra Agenzia del Territorio e Comuni, determinerebbe un regime di incertezza negli enti che hanno, fino allo scorso anno, operato con la Comunicazione (in luogo della Dichiarazione). In sostanza, si dice, poiché nelle istruzioni alla dichiarazione 2006 si preciserebbe che ne sono esentati coloro che hanno presentato la comunicazione entro il 31 dicembre 2006, l'ente che dovesse ricevere comunicazioni dopo quella data dovrebbe respingerle e far compilare al contribuente la dichiarazione, creando così un duplice regime relativamente ad accertamenti e liquidazioni (per le dichiarazioni è prevista la sanzione in caso di omissione o infedeltà, a differenza di quanto accade per la comunicazione che implica controlli esclusivamente per l'omesso o insufficiente versamento). In realtà, mi sembra che la questione sia risolta già nelle stesse istruzioni. Al paragrafo 1 (Premessa), si dice quanto segue: "Tuttavia, data la novità recata dalla legge finanziaria per l’anno 2007, i contribuenti che hanno già presentato la comunicazione relativamente alle variazioni intervenute nel 2006, non devono effettuare alcun ulteriore adempimento dichiarativo." Dunque, il Ministero non ha fissato esplicitamente la scadenza di fine anno come termine ultimo per presentare le comunicazioni. Si deve infatti tenere conto della circostanza per la quale la dichiarazione deve essere presentata entro i termini per la dichiarazione dei redditi, che rimane fissata, per le persone fisiche, al 31 luglio. Ne consegue che è questa la data da prendere a riferimento come termine ultimo oltre il quale non si possono presentare comunicazioni. Non ho conoscenza di tutte le differenti scadenze stabilite dai comuni per la presentazione della comunicazione 2006, ma ragionevolmente si deve pensare che le stesse non vadano aldilà di quelle previste per la dichiarazione, vanificando altrimenti il senso semplificativo della comunicazione. La soluzione prescelta dal Ministero pare essere la più sensata, oltre che l'unica che impedisce il formarsi di un doppio binario di comunicazione agli enti.

mercoledì 9 maggio 2007

La fonte della giovinezza

Gli manca la terra sotto i piedi. Hanno il fiato corto per l'ansia. Soffrono di carenze affettive quasi croniche. Non parliamo di patologie curabili da professionisti della psiche umana. Più semplicemente, è il quadro di sintomi presentati da alcuni amministratori locali da una decina d'anni a questa parte, secondo il ritratto che ne fa il Lenzuolo rosa lunedì scorso. Da quando la gestione è passata in mano ai responsabili dei servizi non deliberano più come una volta (significando: non decidono più nulla, o quasi). Il lamento è unanime, provenendo da consiglieri e assessori. Ma è proprio così? Al di là della cortese rimostranza offerta dai funzionari degli enti (che ribattono sottolineando la mancanza di cultura gestionale dei propri amministratori), la domanda vera è proprio: la capacità decisionale si misura dal numero di deliberazioni approvate? Se il dibattito sulla separazione delle funzioni si riduce a questo calcoletto differenziale tra i bei tempi andati e l'attuale anarchia, ce ne vorrà di pazienza per garantire un più lungimirante uso delle risorse pubbliche in coordinamento tra tecnici e politici. Scegliamo a campione tra le determinazioni dirigenziali di un ente medio e troveremo, in mezzo agli atti con i quali si affidano lavori e forniture dopo le regolari procedure di gara, determinazioni per la semplice liquidazione di spese, per impegnare somme per acquistare la cancelleria, ecc. E di questo che sentono la mancanza oggi gli amministratori? Il banale sospetto, invece, è che, più della sete di potere, a muovere assessori e consiglieri in questa guerriglia sotterranea contro la prevalenza del responsabile sia l'impossibilità di gestire appalti e contributi come pare e piace. A quanto pare non hanno colto il vero cuore della riforma introdotta da Bassanini. La programmazione generale dettata dalla Relazione previsionale insieme al Bilancio annuale e pluriennale insieme a quella dettagliata costituita dall'assegnazione delle risorse ai funzionari (con il PEG, se obbligati, o, se si vuole, con altri strumenti semplificati ma ugualmente vincolanti) costituiscono un sistema di gestione del proprio potere amministrativo che prima del 1997 non era neppure concepibile. Forse è questo che dovrebbe preoccupare i politici: la scarsa confidenza con le tecniche per programmare bene e controllare altrettanto puntualmente. Se si impegnassero di più su questo versante, apprezzerebbero molto di più (davvero molto di più) le loro prerogative e capirebbero che quello che loro chiamano 'potere', in mano ai funzionari è semplicemente una delega ad eseguire direttive. Se sono precise, non ci sono dubbi su chi debba fare cosa; se sono vaghe, il risultato va comunque raggiunto, anche usando margini di discrezionalità operativa (comunque sottoposti all'imperio della legge) e dunque è il funzionario ad assumersi qualche responsabilità in più. Di alternative non ne vedo. E se gli amministratori non lo capiscono, continueranno in eterno a baloccarsi con le nostalgie di un passato irripetibile.

martedì 8 maggio 2007

L'allievo si applica con impegno

"Rispetto a una indagine analoga che abbiamo effettuato tre anni fa abbiamo rilevato che le piccole amministrazioni hanno aumentato gli sforzi per garantire alla popolazione la presenza e l'efficacia di un maggior numero di servizi e di presidi pubblici, attraverso un più ampio ricorso all'associazionismo, e innescando anche processi di razionalizzazione della spesa superflua e di graduale innalzamento delle tariffe. Le nuove norme dovrebbero permettere loro di garantire i servizi senza ricorrere troppo al Fisco." In questa affermazione, leggermente in politichese, del direttore di Legautonomie Loreto del Commuto è racchiusa l'eccezione rappresentata dai piccoli enti locali (per convenzione, quelli sotto i 5.000 abitanti), nel panorama delle amministrazioni pubbliche. Un'eccezione che discende da un principio più generale: fare di necessità virtù. Il proliferare di consorzi, convenzioni, unioni di comuni è la efficace risposta che le amministrazioni mettono in atto da qualche anno ai concreti problemi di gestione quotidiana. L'unione di forze geograficamente limitrofe e, dunque, demograficamente ma non solo, omogenee, per organizzare ed erogare servizi alla collettività risparmiando risorse e ottimizzandone l'impiego è l'unica risposta possibile ai tentennamenti dell'amministrazione centrale. La distribuzione del tesoretto, di fatto, è un problema per queste realtà più che una opportunità. E la vacuità del dibattito sull'abolizione/abbattimento/riduzione dell'ICI sull'abitazione principale, purtroppo, rappresenta l'ennesima presa in giro per gli enti locali, neppure coinvolti nella discussione, come se l'introduzione dell'ICI fosse stata un'elargizione generosa per consegnare ai comuni la falsa illusione del decentramento fiscale. Di fronte a tale indifferenza, non si sposta di un millimetro il timone degli enti che devono dare risposte certe in tempi ragionevoli e che, dunque, sono certo allievi migliori di un maestro sempre meno autorevole. Qualche post fa avevamo avanzato la proposta di mantenere l'ICI sulla prima casa, autorizzandone l'integrale detrazione in sede di dichiarazione dei redditi, raggiungendo così il duplice obiettivo di mantenere intatto il gettito per i Comuni e neutralizzarne l'impatto fiscale sul contribuente. Eppure, questo come eventuali altri metodi per conservare in capo agli enti un minimo di autonomia impositiva non sono neppure accennati nelle pompose dichiarazioni di queste settimane. L'operazione deve risultare, in sostanza, unicamente un ritorno d'immagine per chi la propone. E al diavolo le conseguenze: con un trasferimento aggiuntivo riparatore si risolve la partita contabile. Ma non è così che dovrebbe essere concepita una corretta disciplina tributaria a livello locale. Ci aspettiamo molto di più dal disegno di legge che dovrebbe realizzare il decentramento fiscale. Ma con queste premesse, dubito assai della qualità del documento finale. Spero ardentemente di essere smentito.

lunedì 7 maggio 2007

43 gradi di separazione

Continua sul Lenzuolo rosa il dibattito scaturito dall'inchiesta che ha evidenziato la pletora di controlli e monitoraggi ai quali sono sottoposti (con efficacia finale molto vicina allo zero) gli enti locali. Il punto centrale, infatti, sta altrove. E' inutile inviare periodicamente dati a enti e autorità differenti che, non comunicando fra loro, raccolgono ma non organizzano, ammucchiano ma non selezionano. E soprattutto non controllano. L'intervento apparso oggi a firma del presidente delll'ANCREL e che riportiamo integralmente più sotto ha il pregio di sottolineare l'anacronismo di controlli di pura legittimità (quelli affidati un tempo agli organi regionali di controllo) che non entravano nel merito dell'efficacia ed economicità delle scelte politiche sottese dagli atti esaminati. Ora, però, una volta eliminati gli O.Re.Co., non esiste alcun sistema di controlli che con regolarità possa svolgere una funzione adeguata di vigilanza sui conti (e più in generale sulla gestione) degli enti. Borghi, ovviamente, fa risaltare il potenziale ruolo che, con questo obiettivo, potrebbero svolgere i revisori dei conti. E non ha torto. Credo però debba essere allo stesso tempo consapevole di quanto maggiore debba essere l'impegno dei revisori per svolgere una funzione sistematica di controllo, rispetto alla (ammettiamolo) sporadica presenza attuale. Se è vero che è necessario attuare una selezione più accurata dei professionisti che si propongono come membri dei collegi o come revisori unici, è anche pacifico che non si può non puntare a una limitazione drastica degli incarichi. Le deroghe che oggi è consentito introdurre nei regolamenti di contabilità (per quanto legittime) sono l'esatto contrario di quanto Borghi vorrebbe veder realizzato. E' necessario prevedere un ritocco delle tariffe? Forse. Ma se si tratta di questo, è meglio non inserire nella discussione termini come "autorevolezza", "professionalità", ecc. Se però ciascun professionista non potesse esercitare le funzioni di revisore in più di x enti, ciò significherebbe automaticamente maggiori opportunità di esperienza per altri iscritti agli albi. La diffusione delle competenze e della serietà professionale passa anche da un maggior ricambio tra vecchie e nuove leve. Solo in questo modo, credo, sarebbe possibile assicurarsi la dedizione degli elementi più capaci. La collaborazione con la Corte dei conti è ormai nei fatti il futuro del sistema dei controlli. Si tratta di scoprire quante risorse potranno mettere a disposizione per garantire un sistematico lavoro di analisi che anticipi le situazioni di criticità più pericolose. Ecco, in ogni caso, l'intervento di Antonino Borghi: "L'inchiesta del Sole-24 Ore del 16 aprile sui 43 controlli sugli enti locali ha suscitato un dibattito sulle modalità di controllo più efficace. Al riguardo, va ricordato che il passaggio, con le riforme degli anni 90, dal controllo sugli atti al controllo sui risultati era stato considerato una conquista per una moderna e responsabile gestione degli enti locali. L'obiettivo era quello di sostituire alla cultura burocratica fondata su atti quella della rilevazione dei fatti. Il controllo di legittimità, soppresso con la riforma del Titolo V, rallentava i procedimenti e utilizzava parametri giuridici, senza attenzione all'economicità delle scelte e alla verifica dei risultati. Il controllo di legittimità non era neppure servito a salvaguardare gli equilibri finanziari, visto l'alto numero di enti che dichiaravano il dissesto. Era sostanzialmente un controllo formale del contenuto di un atto che, se rispettoso delle norme o delle interpretazioni date dal Co.re.co., faceva scaturire un parere favorevole quando invece la sua esecuzione poteva produrre sprechi. Appare pertanto anacronistico rimpiangerlo. È però evidente l'esigenza di rivedere i controlli negli enti locali. I controlli interni non hanno ottenuto i risultati auspicati. I controlli successivi sono tanti e, come evidenziato dall'inchiesta del Sole-24 Ore, uniti a continui e disorganici monitoraggi centrali portano a spreco di risorse senza produrre trasparenza e correggere delle irregolarità. La questione va risolta nelle deleghe della Carta delle Autonomie, tenendo conto delle consapevolezze maturate in questi anni e in particolare: — il controllo deve valutare gli obiettivi e i risultati comparando costi, modi e tempi; — occorre un sistema informativo e contabile in grado di rilevare e misurare la gestione del Comune, che ha per funzione (articolo 13 del Tuel) lo sviluppo socio-economico della popolazione e del territorio; — il controllo va portato a sistema con strette relazioni fra l'organo interno e le sezioni regionali della Corte dei conti. La selezione delle aree e delle attività dipendono dalla specificità del singolo ente, ma anche da situazioni comuni a più enti. Su questi ultimi occorre costruire relazioni fra sezioni regionali della Corte e organi interni di revisione (o loro rappresentanze), definendo programmi di controllo e indicandole materie su cui è obbligatorio acquisire sugli atti un parere preventivo dei revisori. Occorre, in definitiva, una regia che può essere affidata alle Sezioni regionali della Corte. Con l'articolo 7 della legge 131/2003 e i commi 166 e seguenti della legge 266/2005, si apre una sfida sull'effettiva capacità di svolgere un controllo collaborativo. Controllo che richiede esperienza, professionalità e conoscenza delle diverse situazioni, e autorevolezza per non essere rifiutato. Occorre ricercare le (tante) cause dell'insoddisfacente controllo negli enti locali: la mancata integrazione fra organo di revisione e Corte dei Conti sembra avviata a soluzione, mentre la mancata indipendenza e professionalità dei controllori richiede una riforma sostanziale del sistema informativo e contabile tutta da conquistare. Sull'ultimo punto, le professionalità dedicate sono cresciute negli ultimi anni, ed a loro occorre dare spazio. L'indipendenza è invece collegata alle modalità di nomina. Se si vuole tentare ancora di mantenere le nomine al Consiglio, va cambiato il sistema delle preferenze per lasciare alla minoranza la possibilità di esprimere un candidato; vanno obbligati gli enti a regolamentare i criteri di selezione; va infine demandata alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti la designazione di una terna per la nomina del presidente del Collegio."

domenica 6 maggio 2007

Ve l'aveva detto Ichino....

La vicenda dei cento e più precari senza patente regolarizzati come autisti dal Comune di Palermo non scandalizza nessuno, diciamo la verità. Il Corriere della Sera la riassume così, in un pezzo colorato e acidino nell'edizione di venerdì scorso: "Domandina facile facile: cosa deve avere un autista? La patente, direte voi. Esatto. Ma non a Palermo. Non sotto elezioni. L'assessore al personale ha fatto assumere infatti all'azienda dei trasporti 110 conducenti. Tutti e 110 ignari di come si debba guidare un autobus." Ma la cattiva stampa di cui gode la pubblica amministrazione non può che alimentarsi di vicende così grottesche che è difficile immaginarne di più grosse. E il danno maggiore continuano a produrlo a carico di chi, invece, amministra con serietà. La presa in giro sottesa dalla frenesia regolarizzatrice della città siciliana è sbattuta in faccia a tutti i dipendenti e gli amministratori senza alcuna possibilità di trovare scusanti (e ci mancherebbe). Però è troppo facile il bersaglio. E anche un po' disonesto. Per un comune che fa strame del normale senso del ridicolo ce ne sono 1.000 che rispettano rigorosamente le procedure (e per questo sono, tra l'altro, penalizzati). Certo, un pezzo sulla tragicomica vicenda degli autisti spatentati è in odore di scoop, ma che servizio si fa agli enti seri? Per fortuna, al Corriere si ricordano di questo: "Va da sé che in qualunque altro posto al mondo avrebbero fatto un bando: «A.A.A. Azienda comunale trasporti cerca 110 autisti, indispensabile la patente D». In qualunque posto, ma non a Palermo alla vigilia delle elezioni comunali che vedranno lo scontro tra Diego Cammarata e il suo predecessore Leoluca Orlando. E così la giunta comunale ha deliberato l'assunzione di 110 precari dei quali non uno, neanche per sbaglio, ha la patente D (la più difficile da ottenere) richiesta per guidare i pullman pubblici. Di più: ha scritto nero su bianco che «nel periodo di addestramento e dunque nella fase antecedente il conseguimento della patente di guida richiesta, i lavoratori selezionati saranno utilizzati come lsu presso l'Amat»." Poi, però, non lamentatevi se allo sportello vi fanno passare per il campione dei lazzaroni.

sabato 5 maggio 2007

I magnifici sette

Il dato pare ormai ufficiale: sono solamente sette i comuni che hanno scelto di introdurre l'imposta di scopo. Una delle novità meno entusiasmanti della recente Finanziaria è stata così definitivamente seppellita dallo scarsissimo entusiasmo con la quale è stata accolta dalle amministrazioni locali. Di motivi per darle addosso ce n'era più d'uno. A partire dalla sua configurazione come addizionale all'ICI. Si trattava in sostanza di convincere i Consigli comunali che aumentare l'imposta sugli immobili di quel certo x per mille (fino a cinque decimi di punto in più) avrebbe aiutato a finanziare la realizzazione di una specifica opera pubblica. Dal punto di vista strettamente contabile, le entrate sarebbero state introitate separatamente, viste le destinazioni differenti; ma al contribuente questo aspetto non poteva interessare meno. La difficoltà nello spiegare in modo convincente ai propri cittadini questo inasprimento di aliquote è risultato lapalissiano anche ai sindaci meno propensi ad ascoltare la "gente". Immaginate, ad esempio, i proprietari della sola abitazione principale (e mettiamoci pure l'autorimessa) che, in via ordinaria, fanno la fila all'ufficio postale per un bollettino di poche decine di euro, effetto della combinazione tra aliquota agevolata e detrazione. Improvvisamente, e per qualche anno, essi sanno che dovranno integrare in modo sostanzioso il bollettino al quale si erano quasi affezionati. Per quanto importante possa essere l'opera pubblica interessata, non ci sono campagne di marketing che tengano: sarebbe stata una mossa politica ad elevato grado di impopolarità. E dato il suo carattere pluriennale, la sua ricaduta negativa si sarebbe estesa pericolosamente vicino al periodo di nuove consultazioni amministrative. Il vero bacio della morte per qualsiasi azione sulla leva fiscale. Non bastasse il côté elettorale, a ridurre ulteriormente il fascino dell'imposta di scopo ha indubbiamente contribuito il vincolo imposto alle amministrazioni di iniziare l'opera in questione in tempi certi, pena la restituzione coattiva (cioè senza attendere richieste di rimborso dai contribuenti) di quanto già incassato a tale titolo. Per quanto sia possibile programmare in modo corretto tutto l'iter per passare dalla progettazione preliminare all'apertura del cantiere, si tratta pur sempre di accettare una scommessa contro gli imprevisti che ne possono ritardare il compimento, e da questo punto di vista è definitivamente accertato il profilo di rischio bassissimo dell'amministratore medio locale. Infine, e non è il demerito di minor rilievo, l'imposta avrebbe finanziato solo una quota dell'opera prescelta. Tecnicamente, insomma, ci si sarebbe trovati di fronte a un quadro economico complesso fatto di risorse correnti (l'addizionale ICI) e di risorse in conto capitale (quelle che avrebbero finanziato il restante 70%). Tempi differenti di riscontro sull'effettivo incasso, rischio di evasione (direttamente proporzionale all'incremento dell'aliquota), eventuale necessità di rivedere il quadro economico del progetto, tempi allungati. Troppi elementi critici per farne innamorare i sindaci. L'albo d'oro finale dell'IdS merita comunque una citazione al coraggio: Rimini, Vignola (Mo), Misano Adriatico (Rn), Morfasso (Pc), Occhiobello (Ro), Temù (Bs), Castellabate (Sa).

venerdì 4 maggio 2007

Luce fioca

"Art. 52 - (..) 3. È esente dall'accisa l'energia elettrica:
a
) utilizzata per l'attività di produzione di elettricità e per mantenere la capacità di produrre elettricità;
b
) prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni;
c
) utilizzata per l'impianto e l'esercizio delle linee ferroviarie adibite al trasporto di merci e passeggeri;
d
) impiegata per l'impianto e l'esercizio delle linee di trasporto urbano ed interurbano;
e
) consumata per qualsiasi applicazione nelle abitazioni di residenza anagrafica degli utenti, con potenza impegnata fino a 3 kW, fino ad un consumo mensile di 150 kWh. Per i consumi superiori ai limiti di 150 kWh per le utenze fino a 1,5 kW e di 220 kWh per quelle oltre 1,5 e fino a 3 kW, si procede al recupero dell'accisa secondo i criteri stabiliti nel capitolo I, punto 2, della deliberazione n. 15 del 14 dicembre 1993 del Comitato interministeriale dei prezzi;
f
) utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh, per i mesi nei quali tale consumo si è verificato. Ai fini della fruizione dell'agevolazione gli autoproduttori dovranno trasmettere, al competente Ufficio dell'Agenzia delle dogane, entro il giorno 20 di ogni mese, i dati relativi al consumo del mese precedente. (...)"
In questi passaggi tratti dall'art. 1, D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 è racchiuso il tesoretto che dal 1° giugno l'Erario accumulerà a scapito delle già tremolanti casse comunali. Fate attenzione, perché ciò che conta davvero è quello che non si legge nel passaggio precedente. Nell'attuale versione, l'art. 52 del T.U. sulle accise prevede due esenzioni fondamentali dall'imposta sul consumo dell'energia elettrica:
- la prima riguarda l'energia elettrica "(...) destinata ad uso di illuminazione di aree pubbliche, di autostrade, di aree scoperte nell'ambito di fiere, di aeroporti ovvero utilizzata nelle segnalazioni luminose per la sicurezza del traffico autostradale, aereo, marittimo ed idroviario, da parte dello Stato, delle province, dei comuni o di enti che ad essi si sostituiscono in virtù di leggi, regolamenti speciali o di convenzioni. L'esenzione non si estende ai locali ed agli ambienti pertinenti alle autostrade e alle altre aree sopra indicate;";
la seconda, l'energia "(...) impiegata dallo Stato, province, comuni e dagli altri enti che ad essi si sostituiscono in virtù di leggi, di regolamenti speciali e di convenzioni, per l'illuminazione degli esterni di edifici ed altri monumenti cittadini di carattere civile e religioso, di zone archeologiche, ville monumentali appartenenti al demanio pubblico, di zone dove sorgono fenomeni naturali di notevole interesse turistico. L'esenzione non si estende ai locali ed agli ambienti pertinenti ai monumenti, ville e zone sopraindicate (...)".
Dal 1° giugno entrambe queste agevolazioni scompariranno per effetto del decreto legislativo che, in attuazione della direttiva 2003/96/CE, attua una decisa stretta alle agevolazioni su alcune tipologie di consumi elettrici. Ovviamente, già si paventano quantificazioni di aumenti delle bollette elettriche comunali nell'ordine del 15%-20% all'anno. Non interessa qui determinare in anticipo l'importo a carico dei bilanci, benché, onestamente, un tale salasso non possa che preoccupare amministratori e funzionari insieme. Preferiamo invece andare a vedere quanto stabilito a livello europeo, per capire se ci sono margini di riduzione del danno oppure no. La direttiva, come sempre articolatissima, ha una premessa che contiene alcuni interessanti elementi mitigatori. Innanzitutto, tra i motivi ispiratori del provvedimento comunitario c'è l'onnipresente obiettivo-Kyoto, per il raggiungimento del quale la "tassazione dei prodotti energetici è uno degli strumenti a disposizione", e trovare qualcuno che non sia d'accordo nel raggiungere questo traguardo è difficile come vedere a occhio nudo il famoso ago nel famoso pagliaio. Ma in un punto successivo si dice anche che "È necessario fissare livelli minimi comunitari di tassazione differenziati in funzione dei diversi usi dei prodotti energetici e dell'elettricità." e soprattutto che è "opportuno consentire agli Stati membri di applicare determinate ulteriori esenzioni o riduzioni del livello di tassazione quando ciò non pregiudica il corretto funzionamento del mercato interno e non comporta distorsioni della concorrenza." Di fatto, centrale in tutto il testo del provvedimento è la necessità di un livello minimo comunitario di tassazione del consumo energetico. Non si esclude in modo definitivo che possano essere introdotte agevolazioni per consumi particolari, tant'è che l'art. 5 recita testualmente: "Gli Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, aliquote d'imposta differenziate a condizione che dette aliquote rispettino i livelli minimi di tassazione stabiliti nella presente direttiva e siano compatibili con il diritto comunitario, nei seguenti casi: (...)
- per i seguenti usi: trasporti pubblici locali di passeggeri (compresi i taxi), raccolta di rifiuti, forze armate e pubblica amministrazione, disabili, ambulanze (...)". E inoltre, poiché "Gli Stati, le autorità di governo locale e regionale e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati entità commerciali per le attività o operazioni che esercitano in quanto autorità pubbliche", il cerchio impositivo si dovrebbe chiudere. C'è, insomma, spazio per un contenimento degli aumenti che, pur non giungendo alla previgente esenzione, dal prossimo giugno entreranno a regime. Certo, sarebbe interessante prevedere un investimento massiccio degli enti locali in riconversioni energetiche, ma i fondi ci sono? Come no! Un intero tesoretto...

giovedì 3 maggio 2007

Non è mai troppo tardi

Ecco un primo aggiornamento delle domande frequenti relative all'adempimento ex comma 587, Finanziaria 2007, sulle società partecipate e gli oneri a carico dei Comuni (la prima parte è stata pubblicata il 24 aprile scorso).

D. Per rappresentanti degli Organi di Governo si intendono solo gli appartenenti al Consiglio di Amministrazione oppure anche semplicemente i componenti dell’Assemblea ovvero i soci?
R. Per rappresentanti si intendono i singoli nominati dall’amministrazione dichiarante per rappresentare la medesima in seno al Consorzio/Società.

D. Quali dati devono essere inseriti nel caso in cui la partecipazione ad un consorzio avvenga solo mediante un contributo annuale e non mediante il versamento di una quota sociale?
R. Il dato economico da dichiarare è quello che indica l’incidenza dei costi del Consorzio/Società sul bilancio di previsione 2007 dell’amministrazione.

D. Vanno dichiarati anche i rappresentanti che non percepiscono nessuna remunerazione?
R. Nel caso di specie vanno indicati i nominativi dei rappresentanti e, alla voce relativa al trattamento economico spettante, va dichiarato un costo pari a € zero.

D. La spesa sostenuta (o prevista) per l’acquisizione di quote sociali o per l’aumento di capitale sociale (non destinato alla copertura di perdite) costituisce investimento. Si deve ritenere che le somme a ciò destinate debbano rientrare nell’ambito applicativo della norma, fermo restando che risultano invece comprese le somme destinate sotto qualsiasi forma a ripiano delle perdite?
R. L’importo lordo da dichiarare è complessivo delle spese di qualsiasi tipo, anche per investimento.

D. Per rappresentanti dell’amministrazione negli Organi di Governo si intendono solo gli appartenenti al Consiglio di Amministrazione oppure anche i componenti dell’Assemblea ovvero i soci?
R. Si intendono tutti.

D. Per rappresentante si intende una rappresentanza diretta prevista dallo statuto della società oppure sono intesi come rappresentanti anche quelli indicati dall’assemblea della società (come propri funzionari o assessori)?
R. Tutti quelli che rappresentano l’ente nei consorzi o nelle società.

D. Come rappresentanti si intendono solo i dipendenti o anche i consiglieri assessori?
R. Tutti purché in rappresentanza dell’ente.

D. Come organi di governo si deve intendere anche l’assemblea dei soci?
R. No.

D. Un consorzio in liquidazione come va dichiarato? Se aveva 9 anni di durata ed è già in liquidazione da 2, quindi non opera, va dichiarato?
R. Si, se è un costo per il bilancio 2007.

D. Se un soggetto rappresenta più enti (tutti gli enti di ricerca pubblici di una regione) chi imputa i dati? L’ente di appartenenza del rappresentante o tutte? E in quale misura?
R. Tutti in proporzione alla propria quota.

D. Per rappresentanti bisogna inserire solo i componenti del consiglio di amministrazione o anche il collegio sindacale?
R. Tutti quelli che rappresentano l’ente all’interno del consorzio o società.

D. Bisogna inserire i dati relativi a società cooperative anche se sono in possesso di una sola azione?
R. Solo se c’è un rappresentante dell’ente.

D. Un comune facente parte di un consorzio senza avere quote azionarie ma solo partecipazioni in base alla quota associativa e al numero di abitanti cosa deve inserire nel campo % della partecipazione?
R. Non mette la % ma solo la quota associativa.

D. Il gettone di presenza deve essere sommato al compenso annuo lordo percepito?
R. Si.

D. Qualora il rappresentante non abbia un rapporto di lavoro diretto con l’amministrazione ma sia dipendente dalla società come amministratore unico, cosa deve essere dichiarato nella dichiarazione rappresentante?
R. Va dichiarato come un normale rappresentante.

D. Un consigliere comunale che risulta in un Consiglio di Amministrazione di un Consorzio che però è eletto direttamente dall’assemblea e senza quindi un atto del Sindaco deve essere inserito?
R. Si.

D. Per oneri si intendono solo i trasferimenti per servizi o anche quelli a fondo perduto?
R. Si intendono tutti gli oneri.

D. Nel caso in cui un comune abbia già deliberato per un Consorzio o per una società e nel caso in cui abbia già versato una quota e questo ancora non si è formalizzato davanti a un notaio come si deve comportare? Tale quota deve essere inserita oppure no?
R. Si se grava sul bilancio dell’anno 2007.

D. In una società partecipata di cui l’amministrazione è socia il sindaco partecipa, per statuto, di diritto alle adunanze dell’assemblea. Relativamente al consiglio di amministrazione i soci propongono dei nominativi e il consiglio di amministrazione è eletto dall’assemblea. I proposti dai soci, ed eletti poi, vanno considerati come rappresentanti delle singole amministrazioni?
R. Si, se in rappresentanza dell’ente.

D. Se la scelta del componente del consiglio di amministrazione viene fatta il 30/04/07 in fase di bilancio come si deve comportare il comune?
R. Deve inserire il nominativo.

D. Se la società è a tempo indeterminato oppure la durata è condizionata al raggiungimento dell’oggetto sociale come è possibile inserire dette informazioni?
R. Secondo l’anno di bilancio.

D. Occorre inserire anche le società in cui il comune non ha rappresentanti? Oppure occorre inserire solo le società in cui il comune non ha rappresentanti ma ha comunque un onere gravante sul bilancio 2007?
R. Tutte.

D. La comunicazione di partecipazione a consorzi o società si riferisce anche alle reti delle scuole?
R. Si.

D. Se una scuola aderisce a un consorzio gestito dal comune per cui privo di onere per la scuola, deve essere comunicato?
R. Si.

D. Le camere di commercio sono tenute a rispettare l’adempimento?
R. Si.

D. Se l’ente ha la partecipazione in più società dove in alcune ha nominato i propri rappresentanti e in altre no, la comunicazione dei nominativi dei rappresentanti riguarda solo le società in cui l’ente ha nominato i propri rappresentanti o l’ente deve comunque trasmettere i dati relativi a tutti i rappresentanti delle società indipendentemente dalla competenza di nomina?
R. L’ente deve trasmettere tutti i dati relativi alle proprie partecipazioni e dove li ha nominati anche i propri rappresentanti.

D. Il dato “finalità del Consorzio o società” indica l’oggetto sociale oppure un particolare codice delle attività o altro?
R. Indica l’oggetto sociale.

D. Nel caso in cui il rappresentante percepisce un gettone e l’importo dello stesso sia variato rispetto all’anno 2006 come ci si deve comportare?
R. Ci si riferisce al CUD 2006 e si aggiunge l’aumento previsto per il 2007.

D. E nel caso in cui il rappresentante sia stato nominato nel corso del 2007 e non si possa far riferimento al CUD 2006?
R. Si fa riferimento al bilancio di previsione 2007.

D. Quale dato va caricato se la durata è illimitata nel campo inizio/fine?
R. Va comunicato solo l’inizio.

D. Se la percentuale di partecipazione non è intera il sito consente il caricamento? In caso contrario quale dato va caricato?
R. Si, il sito consente il caricamento anche se la partecipazione non è intera.

D. Nell’onere complessivo gravante sono ricompresi i corrispettivi per i servizi pubblici locali prestati dalla società partecipata sul territorio?
R. Si.

D. Se la partecipazione è a titolo non oneroso, va dichiarata?
R. Si, specificando che è a costo zero.

D. Vanno trasmessi i dati anche per le aziende consortili e speciali?
R. Si.

D. Vanno inseriti anche i dati relativi all’appartenenza di consorzi c.d. obbligatori?
R. Si.

D. Un comune di 1.580 abitanti che non ha partecipazioni in consorzi o società controllate è tenuto a trasmettere ugualmente la dichiarazione al sito consoc?
R. Deve trasmettere una comunicazione negativa.

D. Per “onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per il 2007 sul bilancio dell’amministrazione” si intende anche la quota prevista in bilancio a titolo di corrispettivi pagati o da pagare a fronte di servizi erogati dalla Società o Consorzio all’amministrazione dichiarante?
R. Si, si intende tutto quello che viene erogato dall’amministrazione dichiarante nei confronti della partecipata.

D. In caso di potenziale duplicazione dei dati (rappresentante nominato sia dalla Provincia che dal comune) come ci si deve comportare?
R. Ogni ente pagherà sul proprio bilancio.

D.“Oneri complessivi sul bilancio dell’ente” devono intendersi di cassa o di competenza?
R. Di competenza.

D. Gli enti locali devono comunicare i dati dei consorzi o società nelle quali hanno quote di partecipazione al capitale anche inferiori al 10%?
R. Si.

D. Nel caso di consorzi di funzioni come rappresentanti dell’amministrazione devono intendersi anche i componenti del consiglio di amministrazione?
R. Si, tutti quelli che rappresentano l’amministrazione dichiarante negli organi di governo.

D. Nel caso che un amministratore sia componente il consiglio di amministrazione e rappresentante dell’ente nell’assemblea dei soci, quale carica deve essere indicata?
R. Tutte e due.

D. Devono essere comunicati anche i dati di consorzi in liquidazione?
R. Si se gravano sul bilancio.

D. Devono essere comunicati i dati dei consorzi stradali e/o consorzi di bonifica?
R. Si

mercoledì 2 maggio 2007

Il tempo non basta mai

Attenzione, a tutti i naviganti ritardatari: la Funzione pubblica ha precisato che "Considerato l'elevato numero di accessi al sito www.consoc.it si comunica che sarà possibile inviare i dati relativi all'adempimento comma 587, art.1 legge n.296/2006 anche oltre la data del 30 aprile 2007".

Da qui all'eternità

Come nei migliori romanzi di suspense, i colpi di scena sono imprevedibili anche all'Agenzia delle Entrate. L'ICI, poi, riesce a trasmettere una smania di interpretazioni e disposizioni inarrivabile che negli ultimi tempi ha davvero toccato l'apice (F24, mod. 730, nuove scadenze di pagamento, addio alla rendita presunta, ecc.). Ecco oggi, dunque, a sorpresa, il decreto di approvazione della dichiarazione per le variazioni avvenute nel 2006, data per spacciata dalla legge (art. 37, comma 53, d.l. 4 luglio 2006, n. 223) prima che da molte autorevoli voci della dottrina e invece recuperata in extremis un'ultima volta, canto del cigno della complicazione tributaria. La convinzione che fosse sparita nasceva dall'esame della recente normativa che, a partire dal decreto Bersani 1 (n. 223/2006), aveva dapprima esplicitamente abolito la comunicazione di variazione e la stessa dichiarazione (ancora obbligatoria solo "nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico."), e poi avviato il processo di collegamento dei Comuni alle banche dati ministeriali. Quest'ultimo elemento, soprattutto, rappresenterebbe il vero salto di qualità nella gestione di dati numerosi e complessi come quelli relativi all'Imposta sugli immobili. Da più parti si sosteneva che il 2007 sarebbe stato l'anno dei controlli telematici. E invece....
Il modello appena pubblicato non si discosta da quelli degli anni precedenti. I contribuenti dei comuni che hanno conservato l'obbligo della dichiarazione non avranno così alcuna difficoltà nella compilazione. Con questa repentina marcia indietro, si crea peraltro una palese disparità con le amministrazioni comunali che hanno introdotto con regolamento, in luogo della dichiarazione, la comunicazione. Quest'ultima era stata introdotta per garantire agli enti una differente tempistica nella trasmissione delle variazioni, utilissima per aggiornare quasi in tempo reale le banche dati interne e in questo modo accelerare i controlli sull'eventuale evasione. E' pur vero che, nel corso degli anni, molti fautori dell'autonomia regolamentare in materia tributaria si sono trasformati in decisi avversari, osservando la totale anarchia con la quale la modulistica delle comunicazioni era stata gestita (dalla scadenza di presentazione, alla struttura del modello). Non potendola però imputare agli stessi enti (che avevano semplicemente sfruttato una facoltà di legge), ci si era limitati a preconizzare un futuro di semplificazioni senza però proporre una soluzione univoca e condivisibile. Ora, questa soluzione è stata implementata con il metodo più rapido e alcuni dei comuni con comunicazione si trovano spiazzati. Si salvano gli enti che, introducendo la comunicazione, hanno richiesto l'invio del modello entro l'anno nel quale è avvenuta la variazione, salvando in questo modo l'intero 2006. Per gli altri si apre una doppia possibilità: la prima, azzardata ma non troppo, è il mantenimento della comunicazione fino alla scadenza di presentazione del modello Unico 2007, nonostante la legge e le note del DPF; la seconda, oggettivamente illusoria, è attendere un provvedimento ministeriale interlocutorio per reintrodurre la comunicazione fino a definitiva entrata a regime del sistema telematico di scambio dati con l'Agenzia delle entrate.

martedì 1 maggio 2007

Dall'altro capo del filo

Forse qualcuno comincia ad aprire le orecchie: "Un monitoraggio pubblicato sul Sole-24 Ore lunedì scorso ha individuato 43 diverse verifiche sui conti degli enti locali, distinguendo tra controlli, monitoraggi e verifiche sulla trasparenza. Troppe, verrebbe da dire. Anche perché per ciascuna di esse la burocrazia impiega anche giornate di lavoro: da ciò la palesata opportunità di una semplificazione. Ma questi 43 adempimenti sono davvero dei controlli? Sono cioè funzionali al pubblico interesse e alla trasparenza? Servono ai cittadini o al mantenimento autoreferenziale di apparati? I problemi evidenziati dall'inchiesta, a mio parere, riportano in luce l'esigenza di chiarire se siano preferibili strumenti di verifica e di controllo preventivi o successivi. Se cioè sia meglio evitare diseconomie, sprechi e illegittimità prima che possano verificarsi, o al contrario sia preferibile innalzare alte e manzoniane grida contro l'inefficienza sulla base dei dati quasi quotidianamente esposti dalla pletora di organismi e organi cui è affidata la verifica successiva. È nota la prevalenza numerica di quanti ritengono sufficienti i controlli interni per garantire legalità, efficienza, efficacia, economicità e trasparenza. Secondo questa opinione solo interventi dall'interno dell'amministrazione possono garantire tali principi e solo i cittadini, con il voto, potranno dire se i loro amministratori abbiano garantito scelte legali e servizi efficienti.
È noto anche, però, che le cose non stanno così, e che né i controlli interni né il controllo popolare sono riusciti a risolvere la dilagante illegalità nelle amministrazioni locali e regionali. Associazioni e agenzie internazionali collocano l'Italia in posizioni molto alte nelle graduatorie della corruzione e dell'inefficienza amministrativa, e autorevoli studi segnalano settimanalmente un livello sempre più elevato di insoddisfazione dei cittadini. In questo contesto, siamo certi che non esistano margini per una rivalutazione del controllo preventivo sugli atti delle amministrazioni? L'istituto è stato cancellato con la riforma costituzionale del 2001 sul presupposto della equiparazione al loro interno delle componenti della Repubblica (articolo n.4); in realtà già dal 1997 era stato ridotto al minimo, lamentandosi da parte del legislatore l'assoluta inefficienza degli organismi contemplati dall'ordinamento. Tuttavia, muovendosi da indubbie considerazioni, il risultato è stato quello di gettare via il bambino con l'acqua sporca, mentre sarebbe stato meglio mantenere il controllo preventivo su atti, ma affidandolo ad organi terzi, espressione dello Stato-comunità e legandolo a parametri non solo giuridici, quali l'economicità, la qualità del servizio, l'utilità sociale. Esiste oggi una possibilità di introdurre sistemi di controllo preventivo sugli atti delle amministrazioni? E soprattutto esiste una volontà politica bipartisan di perseguire un'amministrazione legale, efficiente, economica, efficace? Ecco è proprio dal tema dei controlli preventivi — affatto appartenente al passato — che probabilmente varrebbe la pena riprendere il dibattito sulle riforme istituzionali.
" Quirino Lorelli - Magistrato della Corte dei conti, Il Sole-24 Ore, 30 aprile 2007. Che anche lui, ogni tanto, faccia un giro da queste parti?