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mercoledì 9 maggio 2007

La fonte della giovinezza

Gli manca la terra sotto i piedi. Hanno il fiato corto per l'ansia. Soffrono di carenze affettive quasi croniche. Non parliamo di patologie curabili da professionisti della psiche umana. Più semplicemente, è il quadro di sintomi presentati da alcuni amministratori locali da una decina d'anni a questa parte, secondo il ritratto che ne fa il Lenzuolo rosa lunedì scorso. Da quando la gestione è passata in mano ai responsabili dei servizi non deliberano più come una volta (significando: non decidono più nulla, o quasi). Il lamento è unanime, provenendo da consiglieri e assessori. Ma è proprio così? Al di là della cortese rimostranza offerta dai funzionari degli enti (che ribattono sottolineando la mancanza di cultura gestionale dei propri amministratori), la domanda vera è proprio: la capacità decisionale si misura dal numero di deliberazioni approvate? Se il dibattito sulla separazione delle funzioni si riduce a questo calcoletto differenziale tra i bei tempi andati e l'attuale anarchia, ce ne vorrà di pazienza per garantire un più lungimirante uso delle risorse pubbliche in coordinamento tra tecnici e politici. Scegliamo a campione tra le determinazioni dirigenziali di un ente medio e troveremo, in mezzo agli atti con i quali si affidano lavori e forniture dopo le regolari procedure di gara, determinazioni per la semplice liquidazione di spese, per impegnare somme per acquistare la cancelleria, ecc. E di questo che sentono la mancanza oggi gli amministratori? Il banale sospetto, invece, è che, più della sete di potere, a muovere assessori e consiglieri in questa guerriglia sotterranea contro la prevalenza del responsabile sia l'impossibilità di gestire appalti e contributi come pare e piace. A quanto pare non hanno colto il vero cuore della riforma introdotta da Bassanini. La programmazione generale dettata dalla Relazione previsionale insieme al Bilancio annuale e pluriennale insieme a quella dettagliata costituita dall'assegnazione delle risorse ai funzionari (con il PEG, se obbligati, o, se si vuole, con altri strumenti semplificati ma ugualmente vincolanti) costituiscono un sistema di gestione del proprio potere amministrativo che prima del 1997 non era neppure concepibile. Forse è questo che dovrebbe preoccupare i politici: la scarsa confidenza con le tecniche per programmare bene e controllare altrettanto puntualmente. Se si impegnassero di più su questo versante, apprezzerebbero molto di più (davvero molto di più) le loro prerogative e capirebbero che quello che loro chiamano 'potere', in mano ai funzionari è semplicemente una delega ad eseguire direttive. Se sono precise, non ci sono dubbi su chi debba fare cosa; se sono vaghe, il risultato va comunque raggiunto, anche usando margini di discrezionalità operativa (comunque sottoposti all'imperio della legge) e dunque è il funzionario ad assumersi qualche responsabilità in più. Di alternative non ne vedo. E se gli amministratori non lo capiscono, continueranno in eterno a baloccarsi con le nostalgie di un passato irripetibile.

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