In una botte di ferro

Ma scompare del tutto qualsiasi ipotesi di modulazione dell’imposta che tenga conto, ad esempio, di condizioni di reddito o sociali disagiate. Non solo: la cancellazione dell’intera imposta indipendentemente dal valore dell’immobile (tranne i poveri castellani che, si sa, penano a giungere alla terza settimana), significa la scomparsa di quella salutare dose di progressività che, a ben vedere, l’ICI portava con sé. L’utilità marginale del provvedimento, infatti, è massima per i possessori di un’unità classata A2 (abitazioni civili), mentre è quasi irrilevante per quelli di categoria A5 (case ultrapopolari). Non metterei di mezzo l’art. 53 della Costituzione, proponendo un’eccezione di illegittimità per violazione del principio di capacità contributiva. Tuttavia, credo si debba riflettere sulla qualità di un dispositivo che redistribuisce il costo dei servizi comunali più costosi a carico di chi dovrebbe pagarli di meno.
b) Il caveat più pericoloso, tuttavia, sta nel progressivo ridursi del gettito complessivo dei comuni. Quello dell’ICI, infatti, tende a crescere, a parità di aliquota, per effetto dello sviluppo di nuovi insediamenti produttivi e abitativi. D’altro canto, la certificazione presentata per dichiarare il minor gettito non pare destinata a ripetersi annualmente, benché la norma faccia riferimento al rimborso a decorrere dal 2008, stanziato le somme necessarie a integrazione dell’apposito capitolo del bilancio dello Stato. Il che non esclude la possibilità di nuove e più aggiornate certificazioni, ma contemporaneamente non le garantisce, potendosi limitare a fissare l’importo complessivo dello stanziamento, magari ridotto per esigenze di bilancio statale. Se l’impianto normativo ora illustrato dovesse essere confermato, la restituzione agli enti sarà in eterno fondata su un patrimonio immobiliare fermo all’estate del 2008.
Resta, infine, il problema dei tempi della restituzione del minor gettito. La possibilità che della rata in acconto non si veda un euro per la fine del prossimo giugno è, ahimè, altamente probabile. Il decreto fissa, infatti, un termine massimo di (addirittura) sessanta giorni dalla sua entrata in vigore per determinare (con apposito provvedimento del Viminale) le modalità e i tempi del ristoro. Francamente troppo per qualsiasi ente. Se tale termine ha un senso per gli anni 2009, 2010, ecc. ancora a distanza di sicurezza, ciò è manifestamente insufficiente per il 2008. La fretta di consegnare alla folla il cadavere dell’imposta ha prodotto un testo che, in breve, toglie con certezza ma restituisce con dubbi. L’ennesima edizione del nuovo corso dei rapporti tra enti locali ed erario. E le voci di rinvio del termine per il pagamento della prima rata possono rassicurare i contribuenti, poco o nulla gli uffici tributi.
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