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sabato 5 maggio 2007

I magnifici sette

Il dato pare ormai ufficiale: sono solamente sette i comuni che hanno scelto di introdurre l'imposta di scopo. Una delle novità meno entusiasmanti della recente Finanziaria è stata così definitivamente seppellita dallo scarsissimo entusiasmo con la quale è stata accolta dalle amministrazioni locali. Di motivi per darle addosso ce n'era più d'uno. A partire dalla sua configurazione come addizionale all'ICI. Si trattava in sostanza di convincere i Consigli comunali che aumentare l'imposta sugli immobili di quel certo x per mille (fino a cinque decimi di punto in più) avrebbe aiutato a finanziare la realizzazione di una specifica opera pubblica. Dal punto di vista strettamente contabile, le entrate sarebbero state introitate separatamente, viste le destinazioni differenti; ma al contribuente questo aspetto non poteva interessare meno. La difficoltà nello spiegare in modo convincente ai propri cittadini questo inasprimento di aliquote è risultato lapalissiano anche ai sindaci meno propensi ad ascoltare la "gente". Immaginate, ad esempio, i proprietari della sola abitazione principale (e mettiamoci pure l'autorimessa) che, in via ordinaria, fanno la fila all'ufficio postale per un bollettino di poche decine di euro, effetto della combinazione tra aliquota agevolata e detrazione. Improvvisamente, e per qualche anno, essi sanno che dovranno integrare in modo sostanzioso il bollettino al quale si erano quasi affezionati. Per quanto importante possa essere l'opera pubblica interessata, non ci sono campagne di marketing che tengano: sarebbe stata una mossa politica ad elevato grado di impopolarità. E dato il suo carattere pluriennale, la sua ricaduta negativa si sarebbe estesa pericolosamente vicino al periodo di nuove consultazioni amministrative. Il vero bacio della morte per qualsiasi azione sulla leva fiscale. Non bastasse il côté elettorale, a ridurre ulteriormente il fascino dell'imposta di scopo ha indubbiamente contribuito il vincolo imposto alle amministrazioni di iniziare l'opera in questione in tempi certi, pena la restituzione coattiva (cioè senza attendere richieste di rimborso dai contribuenti) di quanto già incassato a tale titolo. Per quanto sia possibile programmare in modo corretto tutto l'iter per passare dalla progettazione preliminare all'apertura del cantiere, si tratta pur sempre di accettare una scommessa contro gli imprevisti che ne possono ritardare il compimento, e da questo punto di vista è definitivamente accertato il profilo di rischio bassissimo dell'amministratore medio locale. Infine, e non è il demerito di minor rilievo, l'imposta avrebbe finanziato solo una quota dell'opera prescelta. Tecnicamente, insomma, ci si sarebbe trovati di fronte a un quadro economico complesso fatto di risorse correnti (l'addizionale ICI) e di risorse in conto capitale (quelle che avrebbero finanziato il restante 70%). Tempi differenti di riscontro sull'effettivo incasso, rischio di evasione (direttamente proporzionale all'incremento dell'aliquota), eventuale necessità di rivedere il quadro economico del progetto, tempi allungati. Troppi elementi critici per farne innamorare i sindaci. L'albo d'oro finale dell'IdS merita comunque una citazione al coraggio: Rimini, Vignola (Mo), Misano Adriatico (Rn), Morfasso (Pc), Occhiobello (Ro), Temù (Bs), Castellabate (Sa).

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