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martedì 15 gennaio 2008

Quell’ultimo ponte

“Innanzitutto, salviamo le apparenze”. Avesse uno stemma araldico, questa Finanziaria avrebbe già trovato il motto adeguato da fissarvi sopra, a caldo. Non di meno, se c’è un tema dove, negli ultimi mesi, pare che la sostanza abbia lasciato definitivamente posto alla più evanescente forma è quello della finanza derivata. Così, leggendo con attenzione interessata i quattro commi ad essa dedicati dalla L. 244/2007 (dal 381 al 384), non si può fare a meno di pensare a una spoglia finestra, alla quale mani di buon gusto hanno appeso sontuose tende e appoggiato rigogliosi vasetti di primule e viole. Le buone intenzioni, infatti, traboccano da quel testo. A cominciare dall’incipit, imperioso e solenne: che predica la massima trasparenza nella stipula di contratti (anche) di finanza derivata. Questo principio si offre così in pasto alle decine di istituti di credito pronti a sfidare qualsiasi tribunale pur di sostenere che i propri contratti sono come cristallo. Certo, trasparenza è altro da chiarezza. E possono ben dirlo quei responsabili finanziari di enti locali che hanno, loro malgrado, sottoscritto clausole scritte in modo impeccabile, ma per lo più incomprensibili a chi non abbia almeno un MBA in finance & banking management alla Bocconi. Se tutti i contratti sono trasparenti per definizione, perché ciò che non è indicato espressamente non può essere opposto in giudizio, bisogna fare un passo in avanti, entrando nel merito. Il comma 382, a proposito, integra ciò che due finanziarie fa si obbligava gli enti a fare: comunicare al Ministero dell’Economia e delle Finanze la bozza dei contratti non ancora perfezionati per ottenere una sorta di beneplacito ufficiale. Ora, oltre a ciò, il Ministero dovrà verificare che nel contratto siano riportati tutti gli elementi minimi richiesti. Non sappiamo ancora quali siano, in dettaglio, questi elementi: manca (neppure a farlo apposta) uno specifico decreto. Per il quale si ripete ciò che è già accaduto per i pagamenti supra 10.000 euro: in sua assenza la norma non può essere applicata. Qualche smaliziato operatore ha, in un recente passato, provato ad aggirare l’ostacolo, firmando il contratto lo stesso giorno in cui lo ha inviato al Ministero, pensando così di aver regolarmente assolto ai propri obblighi e rischiando, al contrario, di far cadere addosso all’incauto sottoscrittore la mazza della responsabilità contabile, in caso di rilevate irregolarità. Supponiamo, però, che diligentemente il funzionario abbia atteso il placet ministeriale prima di chiudere l’accordo. Non potrà comunque esimersi, d’ora in poi, dall’attestare esplicitamente di “aver preso piena conoscenza dei rischi e delle caratteristiche” dei contratti stipulati, “evidenziando in apposita nota allegata al bilancio gli oneri e gli impegni finanziari derivanti da tali attività.” Ciò vale senz’altro anche per i contratti rinnovati: i quali, altro non sono che nuovi contratti, dunque ordinariamente soggetti alla nuova disciplina. Questo ulteriore impegno va oltre la diligenza del buon padre di famiglia, poiché per avere ‘piena conoscenza’ dell’alea sottostante un contratto ad esempio di swap può essere indispensabile possedere capacità divinatorie, considerata la volatilità inafferrabile dei tassi d’interesse. Certo, le curve di proiezione statistica in possesso degli istituti di credito sono la base sulla quale questi ultimi valutano la redditività dei loro impieghi in contratti di finanza derivata e dunque sono, in certa misura, già determinate. Ciò non toglie che l’unico modo per togliersi da qualsiasi impiccio sarebbe quello di non stipulare contratti di questa natura. Ma questa soluzione può avere senso solo a patto che il legislatore decida di impedire agli enti di giocare d’azzardo. Finché non lo farà, ci si deve appellare esclusivamente al buon senso. Stipulare, se proprio lo si ritiene opportuno, contratti ‘plain vanilla’, senza somme in up-front, e utilizzando le differenza positive in parte per spese d’investimento, in parte come accantonamento fondo rischi. Come dite? Che se non si guadagna su questi contratti, non c’è motivo di stipularli? Fate un paio di telefonate alla Corte dei conti, chiedendo qualche informazione. Poi, ne riparliamo.

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