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domenica 18 febbraio 2007

Debitum manent

La Corte di cassazione è da sempre croce e delizia degli amministratori degli enti locali. Come è scontato che sia, dato lo spettro delle competenze che le sono affidate. Sentenze spesso controverse e talvolta contraddittorie accompagnano il quotidiano lavoro di uffici legali e segretari comunali nella ricerca di un lineare percorso giurisprudenziale che li aiuti a costruire una difesa vincente in giudizio. Negli ultimi tempi è stata soprattutto l'ICI la materia più esaminata nelle pronunce della magistratura suprema. Con la sentenza n. 1752 del 26 gennaio scorso, invece, siamo entrati per l'ennesima volta nel terreno minato degli incarichi professionali. Brevemente, la contesa giuridica nasce dalla decisione di una giunta comunale di non liquidare a un professionista le parcelle per la direzione lavori (poi revocata) relativa a una struttura adibita a mercato. L'incarico era stato assegnato con regolare deliberazione, ma non era stato successivamente sottoscritto dalle parti alcun contratto, il che era sufficiente per l'amministrazione comunale a ritenere di poter resistere in giudizio contro l'inevitabile citazione del professionista. In appello il tecnico era riuscito ad ottenere quanto inizialmente sperato, ma il successivo ricorso al giudice di merito ha definitivamente dato ragione al comune. E la ragione è proprio quella inizialmente addotta dall'ente: in assenza di contratto in forma scritta, non esiste alcun incarico, nonostante la deliberazione dell'organo esecutivo che assumerebbe l'esclusivo valore di autorizzazione a sottoscrivere la convenzione con il direttore dei lavori. Può darsi che il tecnico se ne faccia una ragione, anche perché la successiva revoca dell'incarico fa supporre il sorgere di contrasti di altra natura tra committente e professionista. Ma in linea generale, mi sembra che la questione non si possa dire completamente risolta. Anzì, semmai sorgono almeno due ordini di problemi: il primo attiene alla dimensione finanziaria dell'incarico. La Cassazione, di fatto, pone una soglia (indeterminata) d'ingresso oltre la quale la deliberazione d'incarico non avrebbe di per sè autonomo valore giuridico ("complesse opere di progettazione o di direzione dei lavori"). E dunque ci si chiede se a questa sentenza possano d'ora in poi appellarsi altre amministrazioni per giustificare la mancata liquidazione di prestazioni professionali per le quali manchi una separata sottoscrizione. L'aspetto più delicato, invece, è essenzialmente contabile. La deliberazione d'incarico, regolarmente adottata, non può non aver contenuto il parere di regolarità contabile e l'attestazione di copertura finanziaria. Quindi, l'atto (che in linea teorica non dovrebbe essere ritenuto nullo) è divenuto esecutivo ed è stato successivamente comunicato al professionista per poter essere richiamato nei documenti fiscali da lui emessi in acconto delle sue prestazioni. Che sono state svolte proprio sulla base di quell'atto. Ora la Corte lo ritiene inefficace. Dall'ufficio del Sindaco sento provenire un sapido profumo di debito fuori bilancio. Se, come sembra, sia il primo cittadino sia l'assessore delegato al commercio hanno, con lettere separate, avallato l'incarico della giunta, hanno realizzato la fattispecie più tipica del debito fuori bilancio, quella prevista dall'art. 194, lett. e), D.Lgs. n. 267/2000: "acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza." Quello che non salderà l'ente, graverà dunque presumibilmente sulle loro spalle.

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