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lunedì 14 gennaio 2008

Avanti l’unione....

L’esercito delle interpretazioni di comodo sta già organizzando l’invasione della Finanziaria 2008, via terra, via mare, ma soprattutto via aria. Impossibile, infatti, impedire che le letture, diciamo così, personalizzate di un testo illeggibile si diffondano senza controllo, e con ogni mezzo. La resistenza non si sta organizzando, però. Dai ministeri, infatti, non si stanno levando voci autorevoli a frenare l’assalto di truppe maliziosamente attrezzate. Oppure, novelli carbonari, stanno lavorando in silenzio per zittire tutti in una sola occasione, con una mega-circolare omnicomprensiva. Nel frattempo però tutto è permesso, leggendo casualmente i commi. Ad esempio, l’art. 2, c. 28 (di imprevedibile comicità, a pensarci bene) contiene l’ormai nota selezione innaturale delle forme associative degli enti locali. Ai quali è stato assegnato un termine breve di tre mesi per decidere, in modo del tutto discrezionale, se aderire a consorzi, unioni di comuni oppure gestioni associate di servizi. Scorrendo letteralmente il testo, potrebbe sorgere un dubbio: il legislatore intendeva dire che l’ente può scegliere di aderire a (ad esempio) un consorzio oppure che esso può scegliere di associarsi solo (sempre ad esempio) nella forma del consorzio? A tradire le reali intenzioni del redattore non basta purtroppo la motivazione dichiarata in apertura: “Ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture (...)”. Tutto si tiene, in questo paragrafo, e per semplificare la diversità potrebbero essere attuate a ragione entrambe le ipotesi. Mancano, inoltre, nel testo pubblicato e ripubblicato in Gazzetta, i lavori parlamentari che potrebbero risolvere qualche dubbio. Se abbiamo rilevato l’involontaria ilarità suscitata dal comma 28, non è per caso. E’ davvero singolare, infatti, che dopo anni nei quali l’ordinamento è stato modellato proprio per stuzzicare negli amministratori la voglia di associarsi, con l’intento economicamente sensato della razionalizzazione della spesa e delle risorse, si produca un voltafaccia così drastico e privo di qualsiasi logica amministrativa. Cosa si spera di ottenere, innanzitutto, dalla riduzione dell’associazionismo locale? Una limitazione di costi, certo. La quale però non si produrrà inevitabilmente. Ciò che l’ente non potrà più fare insieme ad altri suoi pari, dovrà organizzare da solo (presumendo che il servizio interessato sia in ogni caso necessario per la collettività). Come questo possa risultare compatibile con un risparmio di risorse è davvero incomprensibile. Si può invece sorridere irritualmente sulla presunta semplificazione della varietà. Come se frammentare in dieci consorzi le proprie funzioni (o concentrarle in uno solo) fosse un sistema più efficiente a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Mi sembra che, con questa disinvoltura, vada a farsi benedire la pretesa di dare agli enti patenti di legittimità nel modo in cui gestirsi. Come dovrebbero regolarsi gli amministratori di fronte a un’imposizione che, dal 1° aprile (data eminentemente simbolica, a pensarci bene), renderà nulli gli atti amministrativi delle associazioni se una decisione per allora non sarà stata presa? Tutta questa fretta non ha alcuna ragione d’essere. Consorzi, unioni e associazioni non sono state costituiti dal giorno alla notte: per quale motivo, dunque, si dovrebbe procedere al loro scioglimento con questa celerità? Preoccupa, in particolare, la totale assenza di indicazioni sui criteri che dovrebbero informare le scelte degli enti su quali forme mantenere e quali no. Significa che al legislatore non interessa la logica della selezione ma solo l’effetto quantitativo, dal quale si salvano i consorzi nati in base a una legge nazionale o regionale e quelli in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti, esclusi dall’eliminatoria ex lege. Il finale non è ancora stato scritto. In mancanza di proroghe, siamo almeno creditori di una spiegazione: prima del 31 marzo, però.

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