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mercoledì 31 ottobre 2007

Il colpo della strega

Provare ci hanno provato. Tentar non nuoce, recita un antico e sempre valido motto. Tra l'altro, trattandosi di un parere, neppure si dovevano adeguare, se non fossero stati pienamente soddisfatti. Chi ha presentato alla Corte dei conti dell'Emilia-Romagna la richiesta di cui tra poco dirò, sapeva bene di raccontare un'eresia. Eppure, non ha esitato a mettere su carta il bizzarro e malizioso dubbio, sperando in una distrazione dei giudici. Il quesito pare uscito dalla Settimana Enigmistica (rubrica Vero o Falso). Un responsabile di servizio che sottoscrive contratti per conto del Comune (ad esempio quelli cimiteriali) può beneficiare dei diritti di segreteria (nella misura spettante al segretario dell'ente)? Ora, non mi pare che i magistrati avessero un ventaglio molto ampio di possibili risposte. La questione, sviscerata in tutte le sue sfaccettature nel corso del parere, si pone al di là dell'ovvio, poiché l'esclusiva competenza dei diritti in capo al segretario comunale non può essere ragionevolmente contestata. Allora, la vicenda trova una sua ragione d'essere nell'occasione di poterne ricavare almeno due riflessioni. La prima riguarda la facilità con la quale è possibile fare lavorare la Corte dei conti su problemi che neppure il più scarso dei consulenti prenderebbe sul serio. Perché paradossalmente sono numerosissimi i casi di pareri ritenuti inammissibili, non rispondendo ai criteri fissati tra l'altro da una delibera del 2005 e che si fondano sulla distinzione, non sempre limpidissima, fra disciplina contabile (ammessa) e disciplina amministrativa (esclusa). Purtroppo, contemporaneamente, passano attraverso il fitto setaccio della Corte richieste che non esitiamo a definire ridicole. E che, solo per il fatto di aver superato le qualificazioni, hanno diritto a essere prese in considerazione ed esaminate con dovizia di particolari. Tempo e risorse sprecati, quindi, per inseguire il miraggio della consulenza perfetta, inattaccabile ma, come in questi casi, sterile. Dunque, è forse il caso di ripensare la funzione consultiva della Corte e introdurre un ulteriore criterio selettivo dei quesiti: la serietà. Il secondo pensiero è rivolto alle reali intenzioni di chi sottopone fatue ma subdole questioni all'attenzione della Corte. Che non sono certo quelle di risolvere dubbi, quanto di sperare in uno svarione dei magistrati, sventolando poi l'eventuale comoda risposta come vessillo di correttezza procedurale. Fortunatamente, sotto questo profilo, non meno pericoloso del primo, un vaccino sembra essere già in circolazione. Gli stessi magistrati, consapevoli di questo opportunismo, si sono tutelati rendendo estremamente difficile l'utilizzo improprio delle proprie pronunce, ma non di meno il rischio è pur sempre in agguato. Anche perché i pur autorevoli pareri finiscono per incrociarsi con le interpretazioni ministeriali, innescando un corto circuito i cui benefici stentiamo a riconoscere. E se la Corte si limitasse alla fase di controllo?

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