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giovedì 1 novembre 2007

Un altro mondo è possibile

Certi confronti possono sembrare faziosi, messi lì apposta per infastidire, provocare. Eppure, se letti con il giusto distacco, alla fine risultano inevitabili, addirittura salutari. E aprono un filone di discussione che può essere alimentato per settimane. Leggevo sul Lenzuolo rosa di qualche giorno fa un intervento sui controlli contabili nelle Regioni a statuto ordinario (quelle cioè per le quali vigono regole omogenee e che non possono permettersi legislazioni ad esclusivo vantaggio interno). Il pezzo, articolato e informato, si dilungava sull'anomalia rappresentata dalle Regioni nel sistema delle autonomie locali. Che la cosa sia nota ai più oppure no, vale la pena ricordare che in questi enti la revisione contabile è esercitata da collegi costituiti da membri dei rispettivi organi consiliari. Una sorta di autocontrollo istituzionale che, essendo viziato all'origine, non garantisce nessuno, controllato compreso. Questa situazione dall'aroma preistorico ricorda molto da vicino ciò che accadeva negli altri enti locali prima dell'avvento della rivoluzionaria legge 142, or sono 17 anni abbondanti. Anche lì, infatti, era in vigore la revisione fatta in casa. Tra l'altro, le sedute del collegio si tenevano ordinariamente a intervalli annuali, per controllare il conto consuntivo. Eccezionalmente le sessioni potevano essere semestrali, ma solo se andava bene, perché a qualcuno veniva in mente di dare un'occhiata anche ai bilanci di previsione. Ma allora il sistema dei controlli esterni era monopolizzato dai Comitati regionali di controllo che rappresentavano l'alfa e l'omega dell'audit contabile. Senza poi contare che i revisori consiglieri potevano ben essere del tutto a digiuno, non dico di contabilità comunale (il che si verifica anche oggi, e non è necessariamente una colpa), ma pure di contabilità in senso generale. Cosicché quei controlli assumevano le sembianze di un tè alle cinque, pausa di riflessione un po' annoiata per fare quattro chiacchiere spulciando tra mandati e reversali. Dal 1990 la musica per noi cambiò. In tutto questo lasso di tempo, comuni e province si sono rapidamente adattati a un sistema fino ad allora completamente sconosciuto dimostrando un'elasticità operativa encomiabile, al netto della serietà dei controlli effettuati dai professionisti nominati. A qualcuno, invece, è stato consentito di mantenere l'ancien regime e sfuggire così a una dose minima e salutare di verifiche e analisi. Suona terribilmente ingiusta questa differenza di trattamento, tanto più quando, alla luce di dati finanziari assolutamente pubblici, le regioni accumulano deficit di gestione mastodontici che determinano, a cascata, il peggioramento del debito complessivo della P.A. E guarda caso, a raddrizzare quest'ultimo attraverso le regole drastiche del Patto di stabilità contribuiscono sostanziosamente anche i comuni. Da più parti si sparano bordate verso i costi eccessivi delle amministrazioni pubbliche, spesso dimenticandosi che generalizzare non è mai un buon criterio di valutazione. Se invece delle solite manfrine demagogiche sulle indennità dei parlamentari si puntasse a un controllo serio e incisivo sui bilanci regionali, al posto della macchietta attuale, ne ricaveremmo risultati concreti e decisamente più duraturi.

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