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venerdì 31 agosto 2007

Oltre il giardino

La succulenta sentenza di Cassazione su Tariffa di igiene ambientale e attività amministrativa, oggi ripresa dallo Struzzo giallo, pur non essendo pioniera nell'affrontare un tema di portata serissima, mette in chiaro alcuni elementi rimasti finora, per così dire, nell'ombra. Forse perché obiettivamente disorientati da una disciplina che si stratifica di anno in anno senza mai arrestarsi, più probabilmente per volontaria refrattarietà delle amministrazioni locali a gestire questioni complesse se non vi si è in qualche modo obbligati. La questione è nota: c'era una volta il prelievo tributario più detestato dai cittadini, la Tassa rifiuti. Così iniqua nella determinazione, con i suoi bei metri quadrati indifferenti a qualsiasi coefficiente di produzione rifiuti e con le sue tariffe eterogenee, variabili da comune a comune, nonostante l'identica superficie. L'ingiustizia, in verità, era percepita più per la metronomica regolarità con la quale erano recapitate a domicilio le cartelle esattoriali che per la quantificazione del debito, anche se, ancora oggi, il lamento più gettonato è anche quello al quale è impossibile fornire una risposta plausibile: perché una famiglia di cinque persone, a parità di superficie occupata, paga come una coppia di sposi? Anche per alleviare gli addetti ai tributi comunali da questo ingrato compito, Edo Ronchi propose e fece approvare (son già dieci anni) la sua Tariffa di igiene ambientale. La quale, però, a colpi di proroghe, ancor oggi risulta facoltativa per centinaia, forse migliaia di enti. E non è possibile addurre, a proprio discarico, che la sua introduzione è troppo complicata, perché, a distanza di due lustri abbondanti, le esperienze sul campo non si contano e dunque anche la documentazione sulla quale costruire il proprio percorso regolamentare. Pare che qualcuno sostenga una motivazione miseramente elettorale per evitare il passaggio a tariffa. Vale a dire la presunta sostanziosa maggiore onerosità del nuovo sistema sarebbe da ostacolo al consenso tra gli elettori. Per quanto si possa dire male della classe politica nazionale, credo che, se questa ragione è mai stata addotta, lo è stata per un periodo molto breve e per un numero limitato di enti. Purtroppo, però, anche Ronchi è passato di moda e, per effetto del decreto ambientale della primavera 2006, ci ritroviamo in vigore ben tre sistemi distinti di tariffazione. Il primo, la TARSU, invecchiato male ma solidamente presente, il secondo, la TIA, adottato dai comuni di maggiori dimensioni senza sfondare nelle realtà minori, il terzo, la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, teoricamente già in vigore dal 1° agosto, in pratica ancora in attesa dei decreti attuativi che trasferirebbero alle ATO l'intero ciclo gestionale. In attesa che qualcuno voglia davvero far luce sul quadro normativo di un prelievo così significativo, restano tutti i problemi pratici di chi ha adottato la soluzione della Tariffa Ronchi. E proprio qui interviene la Corte di Cassazione che, con una sentenza di marzo ma depositata solo poche settimane fa, statuisce che la tariffa non è un'entrata assimilabile ai corrispettivi per servizi, ma mantiene il carattere pubblicistico di tributo. Come tale, gli atti con i quali si addebitano al contribuente gli importi dovuti devono rispondere a tutti i requisiti dell'atto amministrativo tributario. Anche quando è un soggetto privato a gestire, per conto dell'ente locale, la riscossione della tariffa. Una grossa mano nel riconoscere implicitamente natura tributaria alla TIA l'aveva data il legislatore, con il D.L. n. 203/2005, che aveva attribuito al giudice tributario la competenza per dirimere le controversie sulla tariffa. A differenza di una giurisprudenza ondivaga, soprattutto nei giudizi di primo grado. La prima questione pratica derivante dalla pronuncia di agosto della Cassazione, allora, è: come deve essere compilata la fattura TIA? Teoricamente dovrebbe contenere almeno gli elementi già indicati sugli avvisi di liquidazione e accertamento con i quali si addebita la TARSU. Si tratta, a ben vedere, di un falso problema, perché la stessa Cassazione, nel 2004 e a proposito della TARSU, si era pronunciata così: "(...) anche nella cartella di pagamento il comune ha l'obbligo di chiarire, sia pure succintamente, le ragioni (...) dell'iscrizione nel ruolo dell'importo dovuto, in modo da consentire al contribuente un non eccessivamente difficoltoso esercizio del diritto di difesa." Concretamente, il modello di avviso di liquidazione utilizzato per la Tassa può essere senza troppe difficoltà e con un po' di attenzione adattato alla disciplina della Tariffa. Seconda questione pratica: la fattura TIA, in quanto atto di imposizione tributaria, deve essere notificata per renderla autonomamente impugnabile in sede di contenzioso? No, se è stata preceduta da un avviso di liquidazione costruito come indicato sopra e, appunto, notificato come si fa per la TARSU. Si, negli altri casi. Mi chiedo, però, per quale motivo un ente dovrebbe scegliere la seconda, più onerosa e cervellotica, opzione. Terza questione pratica: se la TIA è un tributo, perché devo applicare l'IVA? Su questo enigma non si è giunti a una soluzione chiarificatrice, benché la norma (L. 133/1999) abbia, con sottile sofismo, previsto l'applicazione dell'IVA dal 1° gennaio 1999 proprio sulla TIA. Almeno un paio di interpretazioni ministeriali hanno corroborato tale impostazione, ma non sono sufficienti a dissipare il dubbio, alimentato anche dalla direttiva UE n. 112/2006. Nel frattempo, che fare? Consideriamo, per analogia, il Canone per la depurazione delle acque reflue. Esso è oggetto della giurisdizione tributaria (ex art. 2, D.Lgs. n. 546/1992) e, dal 1° gennaio 1999, soggetto a IVA. Da quella data, infatti, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31, commi 28, 29 e 30, L. 448/1998 (Finanziaria 1999), i canoni per i servizi di depurazione e fognatura non hanno più natura tributaria e, conseguentemente, sono soggetti a Iva, nella misura del 10 per cento. Il medesimo trattamento fiscale e la medesima aliquota (10%, ex n. 127-sexiesdecies, tabella A, parte III, D.P.R. 633/72) devono essere applicati anche quando questi servizi sono erogati da soggetti diversi dai Comuni (aziende speciali, società per azioni a prevalente capitale pubblico, consorzi). Possiamo azzardare dunque identico trattamento anche per la TIA, pur in un quadro apparentemente contraddittorio.

2 Comments:

Giuseppe Debenedetto said...

La recente sentenza della Cassazione in materia di TIA ci offre lo spunto per alcune riflessioni “a caldo” e con beneficio d’inventario, nell’attesa di leggere il contenuto integrale della decisione.
Non appare per nulla convincente il parallelismo tra inserimento di un’entrata nel sistema processuale tributario (d.lgs. 546/92) e la natura giuridica del prelievo: ebbene, l’art. 2 del d.lgs. 546/92 fa rientrare nella giurisdizione tributaria anche talune entrate di natura privatistica, tra cui il COSAP, il CIMP e il canone per il servizio di depurazione acque. Quindi, non è un argomento utilizzabile per risalire alla natura giuridica di un’entrata, che può essere individuata solamente esaminando la disciplina dell’istituto, non essendo peraltro determinante il nomen utilizzato dal legislatore.
Ora, è noto che il decreto Ronchi ha utilizzato il termine “tariffa” per dare al prelievo scarsa visibilità impositiva, ma in realtà intendeva conservare il regime tributario dell’entrata (in tal senso il parere della Commissione Gallo). Tuttavia, nell’operazione di chirurgia estetica qualcosa non ha funzionato. All’esito dell’intervento potevamo con stupore ammirare una bella donna, ma poi siamo rimasti profondamente delusi perché in realtà si trattava di un travestito: il che, tradotto in termini giuridici equivale a dire che eravamo in presenza di una tassa sfornita degli strumenti autoritativi che connotano un’entrata tributaria (si pensi alla mancanza di disposizioni relative all’accertamento e alle sanzioni applicabili in caso di mancato pagamento). E’ veramente difficile pensare che un’entrata posta a copertura anche di costi indivisibili (quali lo spazzamento delle strade) può essere considerata di natura extra-tributaria.
Ma in pratica cosa è successo ? I 935 comuni che applicano la tariffa, seppure in via sperimentale, per un verso l’hanno ritenuta di natura privatistica (e quindi la riscuotono con fattura, applicando l’IVA), per altro verso l’hanno considerata di natura tributaria (diversi comuni hanno introdotto per via regolamentatare, violando il principio di legalità, sanzioni dal 100 al 200% in caso di omessa denuncia e del 30% in caso di omesso versamento).
Purtroppo queste sono le conseguenze di un legislatore completamente ignaro delle rilevanti conseguenze della natura giuridica dell’entrata, che non sono imitate all’imponibilità IVA e al regime del contenzioso. Invero, se l’entrata è di natura privatistica non è applicabile lo statuto del contribuente, non sono applicabili tutte quelle norme che la legge finanziaria 2007 ricollega ai tributi locali, non è applicabile l’accertamento con adesione, non sono applicabili le sanzioni tributarie, ecc.. Per fare un esempio più concreto, seguendo la tesi privatistica, in sede di rimborso TIA dovrei applicare la norma relativa alla ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.) con prescrizione decennale (anziché di 5 anni per i tributi locali); in materia di sanzioni possono applicare solo quelle previste dall’art. 7-bis del TUEL (da 25 a 500 euro). Si potrebbero fare altri esempi e la casistica delle conseguenze andrebbe integrata (ad esempio con l’applicabilità della legge 241/90 sul procedimento amministrativo, invece espressamente inapplicabile ai tributi).
Tuttavia la Cassazione sembra affermare la natura tributaria dell’entrata e così vengono meno alcuni problemi. Ma siamo sicuri ? Perché riscuoterla con fattura e non tramite avviso di pagamento ? Perché applicare l’IVA, violando il principio della doppia imposizione sancito dalla VI^ direttiva comunitaria ?
Soffermiamoci sull’impugnabilità della “fattura”: tale atto non è contemplato nell’elenco previsto dall’art. 19 del d.lgs. 546/92, ma dovrebbe essere impugnabile perché il prelievo è comunque previsto dall’art. 2 del d.lgs. 546/92. La questione non è scontata, perché se un’ingiunzione di pagamento (non prevista dall’art. 19) può essere equiparata ad una cartella di pagamento (prevista dall’art. 19), non altrettanto possiamo dire per la “fattura”, a cosa la equipariamo ? Non a caso, nel recente disegno di legge concernente il riordinamento della giustizia tributaria (DDL 1340 Senato) è prevista l’integrazione dell’art. 19 “per consentire l’impugnazione di tutti gli atti afferenti ogni tipologia di tributo comunque denominato (ad esempio le fatture utilizzate per la riscossione di talune tasse ambientali)” (dalla relazione al DDL).
Non penso, quindi, che la Cassazione abbia risolto i problemi della TIA affermando sostanzialmente che la fattura ha natura di atto impositivo, contenente le indicazioni previste dall’art. 7 dello statuto del contribuente. La fattura un atto impositivo ?

Massimo Monteverdi said...

Sapevo, Giuseppe, di poter stuzzicare la tua attenzione con questo post. In effetti, la faciloneria con la quale si introducono nuovi prelievi fiscali senza tenere in alcun conto le conseguenze applicative che ne derivano, con la TIA ha raggiunto una vetta inesplorata. Ora che anch'essa sta imboccando il viale del tramonto, lascia assolutamente irrisolti (checché ne pensi la Cassazione) tutti i problemi che gli operatori hanno risolto con buone dosi di anarchia, sperando, forse, che il gran fumo del diritto impedisse al contribuente di contestare alcunché.