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lunedì 3 settembre 2007

Dove il dente duole

Lo spirito di corpo prevale spesso quando si tratta di salvaguardare l'orgoglio di un'intera categoria. Quando quest'ultima, però, è rappresentata dai segretari comunali e provinciali, vien voglia di non accodarsi automaticamente al corteo e insinuare invece una lista di distinguo nella difesa d'ufficio di volta in volta proposta. Non c'è dubbio che un così pervicace sentimento di affiliazione sia l'equivalente del clima di solidarietà quasi cameratesca che contraddistingue i soci di un circolo esclusivo. Verrebbe voglia, a dir la verità, ogni volta che si leggono interventi così accorati, di citare Groucho Marx e sostenere che "non mi iscriverei mai ad un club che mi accettasse come socio". Talvolta, infatti si percepisce fra le righe un crescente fastidio per la continua messa in discussione del ruolo dei segretari, da qualunque parte provenga e con qualsiasi argomento venga proposta. L'intero albo nazionale si sente perennemente sotto assedio e per difendere il fortino usa anche armi spuntate, anche quando potrebbe ribaltare le critiche e farsi promotore di iniziative finalmente chiarificatrici. Non è la prima volta che dedico qualche osservazione alla categoria. Non si finisce mai, tuttavia, di scoprire nuove sfumature nella ricerca di una ragione fondamentale per giustificare l'esistenza della specie, così come sopravvive oggi. Ultimo in ordine di tempo, all'interno del florido dibattito su dirigenti e controllo degli enti locali, leggo sul Lenzuolo rosa di oggi l'appello appassionato e civilissimo del Segretario nazionale della sezione giovanile dell'Unione segretari a rivalutare la professionalità di una figura storica. E', di fatto, un duello di sciabole con i dirigenti (quelli giuridicamente titolati) degli enti locali, i quali sentono di avere ragioni da vendere per rivendicare la titolarità della gestione senza aver necessità di appoggiarsi al segretario dell'ente per coordinare le scelte organizzative che, in ogni caso, spettano solo a loro. Dall'altro lato, i segretari soffrono, specie quelli di nuova nomina, di un complesso di inferiorità al quale cercano di porre rimedio alzando l'asticella dell'ostacolo e improvvisandosi guardiani di un ente locale che non c'è più. Infatti, quale futuro può concepirsi per funzionari che, direttamente nominati dal Sindaco, se non sono anche incaricati della direzione generale, recitano la parte del consulente giuridico, ma, di fatto, non si assumono in via diretta alcuna responsabilità? E proprio questo essenziale tassello manca alla costruzione logica della dott.ssa Marra. In nessun passaggio si percepisce l'esigenza di ricollocare il segretario nel ruolo che, in precedenza, ha ricoperto con autorevolezza e che potrebbe fargli riacquistare quell'aura di prestigio che si è vieppiù appannata nell'ultimo decennio (Bassanini-bis docet). Il fatto che provenga dalla fetta più moderna e teoricamente preparata alle sfide di un ente locale da ventunesimo secolo la dice purtroppo lunga sulla chiusura cronica a qualsiasi istanza di rinnovamento, non dico rivoluzionario, ma almeno sostenuto. Ironicamente, nelle ultime righe si legge: "Occorre ricordare che la riforma della Pubblica amministrazione ha portato da tempo alla separazione tra politica e gestione: non si può non consentire che persone non dotate di adeguati requisiti vengano poste al vertice degli enti locali per mezzo di mere nomine politiche e spesso clientelari." Se avessi letto questa frase senza conoscerne l'autore, avrei potuto facilmente attribuirla a un dirigente deluso dalla facile abitudine di incaricare il suo segretario della direzione generale. L'inversione dei ruoli produce un effetto di straniamento che non fa avanzare di un centimetro la discussione. Ognuno è arroccato su posizioni che paiono uscite da un romanzo d'appendice, tanto sono immote: i direttori generali che non ammettono il potenziale rischio di restare gli unici soggetti a detenere il controllo della realizzazione del programma di mandato, i segretari incapaci di concepire un ruolo nuovo che li veda sì protagonisti ma non irresponsabilizzati. Ho espresso già in altra occasione il mio pensiero: il ripensamento del ruolo dei segretari è necessario e deve iniziare da un ricambio generazionale ampio e rapido, accompagnato da un progressivo ritorno a una forma di responsabilità gestionale che non può dipendere dall'attribuzione o meno dell'incarico di direttore generale. Quest'ultima, tra l'altro, è stata interpretata in maniera prevalentemente distorta da troppi sindaci che, incuranti del reale peso manageriale del proprio segretario, lo hanno premiato non per quello che era in grado di realizzare, ma per quello che, in passato, ha dovuto fare, perché tenutovi dalla legge. Poiché quest'ultima ha ribaltato i ruoli, assegnando responsabilità gestionali dirette ai funzionari dell'ente, e ha introdotto questo spiraglio allettante, vi si sono infilati buoni e cattivi elementi, riducendo la scelta del segretario-direttore a una generosa attribuzione di compensi raramente accompagnati da un'adeguata consapevolezza della preparazione del beneficiario.

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