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martedì 26 giugno 2007

Nell'acquasantiera

La benedizione governativa di una norma agevolativa stavolta non è servita. Da Bruxelles fanno sapere che gli immobili posseduti dagli enti ecclesiastici, quando sono utilizzati per lo svolgimento di un'attività commerciale, non possono beneficiare di alcuna facilitazione fiscale. Compresa l'ICI. E dunque partirà una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano perché questa benedetta concorrenza non è libera se per qualcuno costa di meno, a prescindere. Non che ci fossero dubbi sull'inconsistenza della pretesa clericale. E però. La lettera della norma attualmente in vigore, l'art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è stata interpretata autenticamente dall'Art. 7, comma 2-bis, del D.L. n. 203/2005 (comma modificato, per l'occasione, dal D.L. Bersani dello scorso luglio) e dispone che: "2-bis. L'esenzione disposta dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale." In sostanza, si vorrebbero salvate dalla mannaia fiscale quelle strutture ecclesiastiche che, in qualche modo, sono commerciali ma non del tutto. E quali potrebbero essere, di grazia? Qualcuno sostiene, senza accorgersi di rasentare la comicità involontaria, che anche una casa di riposo di proprietà della Chiesa (dunque, privatissima) dovrebbe beneficiare dell'esenzione se al suo interno si trova una chiesetta o una cappella votiva. Siccome il grisbi vale complessivamente (stime approssimative) non meno di 400 milioni di euro (perché comprende anche l'ICI sul patrimonio immobiliare di tutti i culti e delle ONLUS), si tratta di capire se i margini di interpretazione sono larghi come il saio di un fraticello oppure se l'iniziativa UE va dritta al bersaglio e chiude la partita una volta per tutte. Anche la Cassazione, in tempi non sospetti e cioè dopo l'introduzione dell'agevolazione, si era pronunciata esplicitamente (nonostante una presa di posizione ovviamente pro-esenzione, della Conferenza Episcopale Italiana). Con la sentenza n. 4645 del 2 ottobre 2004, infatti la Corte sosteneva che, per accampare ragionevolmente il diritto all’esenzione Ici: “occorre che si verifichino contemporaneamente entrambe le condizioni, quella soggettiva dell'appartenenza dell'immobile ad uno dei soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c) del T.U.I.R., e quello oggettivo della destinazione esclusiva dell'immobile allo svolgimento di una delle attività ritenute dal legislatore meritevoli di un trattamento fiscale di favore - elencate nella lettera i) dell'art. 7, e, tra esse, di una di quelle previste nella lettera a) dell'art. 16 della legge n. 222 del 1985.” Non basta che l'attività sia svolta da un ente senza scopo di lucro per essere esenti. Vi sono attività che, oggettivamente, sono commerciali indipendentemente da chi le svolge e, pertanto, non meritevoli di agevolazioni soggettive. Di fronte all'iniziativa della Cassazione, il legislatore metteva religiosamente mano al portafoglio e nell’art. 6, D.L. 17 agosto 2005, n. 163 stabiliva che: “L’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur svolte in forma commerciale, se connesse a finalità di religione o di culto”. Con questa norma, poi, si scontentavano ONLUS e altri culti religiosi, esclusi da questa ventata di generosità erariale. Ce n'era a sufficienza per promuovere giudizi di incostituzionalità a vario titolo. Così, la norma scomparve dal testo poi convertito in legge. Ma le pentole del diavolo ribollivano e quel testo riapparve poco dopo nel D.L. collegato alla Finanziaria 2006: "2-bis. L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse", che nel 2006 ha conosciuto la modifica già ricordata. Questi passaggi legislativi però non chiudono il cerchio, perché poi basta un avverbio per rendere tutto fluido e nebbioso. Sparirà, dietro la minaccia belga, anche quella decisiva parolina? I precedenti non sono così favorevoli, nel senso che accumulare infrazioni è quasi un hobby per lo Stato italiano. E poi, ingaggiare una vera battaglia sulla laicità dello Stato non è mai stato così impopolare.

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