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venerdì 16 marzo 2007

Unico nel suo genere

Pare che, nel prossimo Codice delle Autonomie, faccia capolino la nuova figura del Dirigente unico. Il testo di un emendamento al decreto quasi approvato dal Consiglio dei ministri stabilisce che il codice dovrà "prevedere una funzione apicale che garantisca la distinzione e il raccordo tra gli organi politici e l'amministrazione, nonché il coordinamento unitario dell'azione amministrativa per assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, in attuazione dell'articolo 97 della Costituzione." Questo esemplare un po' fantozziano, gerarchicamente parificabile al Segretario/Direttore generale, dovrebbe nelle intenzioni del legislatore risolvere l'ormai annoso problema del ruolo del Segretario nell'ente locale. Quest'ultimo, si sa, da quando è stata introdotta la figura del Direttore generale, si è trasformato (nei rari casi in cui non gli è riuscito di farsi nominare tale) in un mero assistente a favore degli organi amministrativi. E non vale ricordare che, comunque, egli è a capo del personale. La sua autorità, e di conseguenza la sua capacità di governare la dotazione organica, o gli deriva dal carisma della sua esperienza professionale oppure non è. Al contrario, nei comuni dove è stato nominato Direttore generale, egli incarna contemporaneamente tutte le figure rappresentative della più alta gerarchia, poiché oltre ai compiti in materia di personale, gli sono attribuite le funzioni di responsabile della realizzazione dei programmi dell'ente, essendone il dirigente di fatto e di diritto. Dalla constatazione di questa concentrazione di poteri nasce ovviamente una domanda chiave: in quanti enti essa si manifesta come una reale competenza manageriale? E non stiamo parlando qui di manager in senso strettamente privatistico, ma più semplicemente di capacità reale di andare al di là della competenza amministrativa per calarsi in un ruolo molto più vicino a quello del Responsabile dei servizi finanziari. Il senso retorico della domanda è, purtroppo, assolutamente intenzionale. Non ditemi che non vi siete mai trovati alle prese con segretari che non conoscono l'ABC della contabilità economica e dunque non saprebbero compilare un conto economico neppure sotto tortura. E non è neppure vero che non si può giudicare un direttore generale dalle sue competenze economiche perché, se non sa leggere sul serio un bilancio, che credibilità potrà mai avere come soggetto a capo della struttura operativa che quel bilancio lo deve gestire? Peraltro, sembra che la previsione normativa abbia soddisfatto le aspettative di tutti i soggetti in gioco. Almeno di quelli interpellati, perché (e torniamo a bomba) non si comprende che differenza ci sia tra la "funzione apicale" prevista nel Codice e il Segretario così come è concepito ora. Caso mai proporrà ex-novo, nei comuni dove già sono presenti due distinte figure professionali, un problema di convivenza con i direttori generali. Dal che si deduce che uno dei due dovrebbe istituzionalmente soccombere. Sospettiamo che si tratterà dei d.g., ancora troppo poco diffusi per rappresentare una categoria omogenea, cani sciolti del management comunale ai quali manca una lobby parlamentare di sicura affidabilità. Si diffonderà così il segretario-direttore, senza che ne sia garantita, corrispondentemente, la professionalità. L'unico soggetto che può ufficialmente accertare la qualità dei nominati è, oggi, la Scuola superiore della pubblica amministrazione, ma al ritmo con il quale vengono banditi nuovi corsi-concorsi (l'ultimo, in Gazzetta lo scorso 6 marzo, per 300 posti), prima di assistere al ricambio dell'attuale classe dirigente dovremmo attendere generazioni.

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