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domenica 18 marzo 2007

Il libro della giungla/2

Non scherzavo ieri, proponendo una rinnovata versione dei comitati di controllo (a parte la denominazione che mi ha sempre evocato visioni kafkiane di una burocrazia all'ennesima potenza) guidati e gestiti dalla Corte dei conti. L'esame delle relazioni ai bilanci di previsione (e ci aspettiamo in tempi brevi anche l'indagine sulle relazioni dei consuntivi 2005) ha evidenziato il limite più significativo delle cosiddette linee guida. Si tratta di un controllo successivo all'esecutività degli atti, successivo anche al termine per proporre eventuali ricorsi al TAR da parte dei portatori di interessi legittimi. In questo modo, non può ritenersi uno strumento deterrente di cattiva amministrazione (senza discutere sulla buona o mala fede degli organi deliberanti). Anche l'evidenza dei numeri sconsiglia di ritenere questa come la forma ottimale per ovviare all'attuale anarchia protetta nell'adozione delle deliberazioni. Avanzare, quindi, un'ipotesi di restaurazione non sembra un azzardo visionario. Più semplicemente, un contributo a un dibattito che langue, con l'accondiscendenza delle amministrazioni che, di certo, non sono diventate dopo l'abolizione dei Co.Re.Co. covi di associazioni a delinquere, ma che certamente non hanno protestato più di tanto per tale repentina scomparsa. L'obiezione principale (e certamente decisiva nel rendere irrealizzabile questa proposta) sarà quella dell'organico limitato, dovendo la Corte occuparsi di ogni comparto della Pubblica amministrazione e dovendo agire (facendo di necessità virtù) a campione sulle singole tipologie di enti. Forse, però, proprio qui sta una possibile via d'uscita compromissoria. Avendo comunque a disposizione un numero predeterminato di controlli annuali sugli enti locali, perché non ipotizzare che ciò avvenga (sulla base, si intende, di un'esplicita previsione legislativa) con le identiche modalità che contrassegnavano l'operato dei controllori regionali (i quali istruivano le pratiche sui bilanci come dei magistrati, benché solo alcuni di essi lo fossero, anche in quiescenza) attraverso le sezioni regionali di controllo, già istituite e regolarmente in attività? Le garanzie per una più approfondita analisi degli atti di programmazione e di rendicontazione mi sembrano indiscutibili. Così come trovo difficile pensare che le amministrazioni respingano la necessità di sottoporre i propri atti (solo alcuni, poi) ad un controllo, celandosi dietro una malinterpretata definizione di autonomia amministrativa. Non si ha notizia che il Codice delle autonomie intenda affrontare di petto la questione. Eppure, a maggiore tutela di amministratori e amministrati, dovrebbe essere un'occasione da non perdere.

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