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venerdì 2 marzo 2007

Equilibrismi

Le boccate d'ossigeno, in materia di personale, non sono mai sufficienti. Così, la regolarizzazione dei cosiddetti precari prevista dalla Finanziaria 2007 si rivela come un'occasione da non perdere per superare le forzose limitazioni di questi anni. E di questi vincoli sanno qualcosa soprattutto gli enti piccoli o medio-piccoli che, lo ricordiamo, sulla base del D.P.C.M. ancora vigente, dopo la prima sostituzione di personale cessato (quindi dimesso o in quiescenza), devono attendere che altri cinque dipendenti decidano di cambiare aria o andare in pensione. In realtà, in tutta evidenza, si tratta del blocco definitivo delle assunzioni con l'ulteriore aggravante che, nonostante la cessazione di più di un'unità, l'ente dovrà fare le nozze con i fichi secchi, per parecchio tempo. Il testo del comma 558 è d'altro canto piuttosto esplicito, va riconosciuto. Lo riportiamo per non perdere il filo del discorso: "A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557, fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma 1156, lettera f), purchè sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive." Eppure, ho appreso che sul tema si stanno confrontando senza troppi complimenti due delle confederazioni nazionali più rappresentative, quelle, tra l'altro, che raccolgono più iscritti negli enti locali. Una sostiene alla lettera il testo normativo, ed esclude perciò che possano essere stabilizzati lavoratori che hanno prestato la propria opera non in funzione di un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato. Esclude, cioè, che possano entrare definitivamente in organico i titolari di contratti di collaborazione o d'opera. Ineccepibile posizione se non fosse che in parecchie occasioni contratti di questo tipo, specie quelli d'opera, non sono nella sostanza di lavoro autonomo: il lavoratore è quotidianamente coordinato da un responsabile di servizio; timbra regolarmente il cartellino. E' vero che una estensione della procedura a tutti questi precari mascherati da professionisti significherebbe una forzatura epocale della normativa sulle assunzioni nel pubblico impiego. E qui si inserisce la posizione più elastica dell'altra confederazione. Che non vuole generalizzare le stabilizzazioni, ma che, volendo contemperare le manifeste esigenze di nuove risorse con gli equilibri della finanza pubblica, propone una soluzione attuabile ma che richiede una certa dose di fiducia reciproca tra amministrazione e collaboratore. E' necessario che quest'ultimo instauri una causa di lavoro, la quale, invece di risolversi con un risarcimento in denaro, tenda al riconoscimento dei periodi di lavoro come subordinato. In tal modo, se fossero soddisfatte le altre condizioni previste dalla Finanziaria, si potrebbe procedere alla stabilizzazione. Troppo audace? Forse, ma probabilmente più equo. Che ne dice la terza sorella?

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