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sabato 3 marzo 2007

Fumo negli occhi

La dirigente fumava ostinatamente la sua sigaretta. Sotto il cartello di divieto, le spire di fumo si avvolgevano spudoratamente, la minaccia delle sanzioni stavolta davvero inutile. Mi guardava con aria vagamente supponente, di certo a farmi capire che il bastone del comando era saldamente in mano sua. In quell'esatto momento, percepii l'ostilità di chi si sente superiore e non intende proprio nasconderlo.
Avevo scelto di allontanarmi dalla mia città per provare un'esperienza di lavoro in un ambiente nuovo, più grande, più stimolante. Così almeno lo avevo immaginato io.
Sono così rare oggi le procedure di mobilità esterna che, quando avevo posato gli occhi su quella Gazzetta dei concorsi, a fine novembre, dovetti rileggere un paio di volte la descrizione del profilo richiesto. Un'amministrazione provinciale, una città splendida (la migliore per qualità della vita, secondo una recente indagine del Sole), il posto (anzi, tre) messo a concorso proprio quello che mi riguarda. L'unico tassello non al suo posto, l'ufficio di destinazione: "Formazione e lavoro". Ma cercavano funzionari amministrativo-contabili, volevano un curriculum dettagliato, quindi non stavo prendendo un abbaglio. La convocazione per il colloquio venne inaspettata, per un mercoledì di gennaio. Una stupida indisposizione mi aveva messo k.o. proprio il giorno prima. Chiesi e ottenni un rinvio dell'appuntamento. La funzionaria (solo donne, in questa vicenda), molto gentile, me l'accordò. Nessuno si fece più vivo per settimane. Cominciavo a perdere fiducia nella sincerità toscana. Non che mi spaventasse il confronto con gli altri candidati (eravamo stati selezionati in undici): ognuno porta con sè il suo bagaglio e gioca le sue carte meglio che può. Ma cominciavo a credere che avessero comunque già scelto: persino sul web la procedura concorsuale veniva data per conclusa. Invece, inaspettata come la neve a ferragosto, arrivò la seconda convocazione, ancora per un mercoledì. Deciso a dare il meglio, scesi in treno senza illusioni, ma con la convinzione che ogni scenario era ancora possibile.
Nella stanza, ci raggiunse anche la dirigente del settore Personale. Ora il cerchio era chiuso. Mi aspettavo un colloquio. Ne uscì quasi un monologo della fumatrice. Quanto siamo efficienti ("Squadra che vince non si cambia", ma allora che volete da me?), quanto sgobbiamo qui ("La regola da noi è la settimana di 50 ore", ma credono che in un comune medio-piccolo i dipendenti scappino allo scoccare della 36a ora?), quanto bisogna imparare (potevo evitare di mandare il resoconto delle mie esperienze passate, non lo avevano neppure guardato), quanto poco bisognava aspettarsi in termini di riconoscimento economico ("Si scordi pure l'indennità di posizione", e l'avevo pure messo in conto). Sembrava più un ufficio di reclutamento per il corpo dei marines e mi stavano facendo sentire come un riservista della Guardia nazionale. Dopo mezz'ora, la sergente di fumo non aveva più niente da dire. Non mi chiesero neppure cosa ne pensavo. "Se decideremo di contattarla, non si aspetti che sia a breve, stiamo approvando il bilancio". A dire la verità, gli assetati di risorse nuove, quelli con l'acqua alla gola, sembravano loro (me l'aveva fatto capire la fumatrice). Smisi di farmi domande (almeno c'era qualcuno che me le poneva). Dopo i saluti di prammatica, fintamente cordiali, uscii dall'ufficio, dall'edificio, dalla procedura. Volevo aria fresca. Avevo ancora addosso l'odore di fumo della sua sigaretta.

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