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domenica 4 febbraio 2007

La base ATO

La guerra è appena iniziata e probabilmente non durerà poco. Chi l'ha dichiarata era perfettamente consapevole del putiferio che avrebbe scatenato. La fazione pacifista, infatti, non vuole mediare: sospensione immediata o la crisi politica sarà grave e duratura. A gettare acqua sul fuoco (letteralmente) ci ha pensato Enrico Letta. Solo per qualche giorno, però; poi anche quella evaporerà. E allora... Non siamo a Vicenza. Non centrano gli eserciti, per ora, almeno. E al posto dell'oro nero, ci si contende la gestione di quello che qualcuno ha già definito 'blu': l'acqua. Questione delicatissima, perché il giro d'affari mosso dalla sua distribuzione è elevatissimo, perché le implicazioni ecologiche sono sempre più evidenti (a partire dall'asimmetria distributiva a livello mondiale, anche all'interno dello stesso stato, come accade in Italia, e dal consumo smodato nei paesi più industrializzati), perché è l'ultimo baluardo dei fautori dell'intervento pubblico in economia e i privatizzatori ad ogni costo non ci stanno. Le conseguenze, però, dovrebbero interessare tutti. Il quadro che si delinea è piuttosto chiaro: da un lato, le grandi aziende municipalizzate e le ATO provinciali che già oggi coprono una fetta maggioritaria del mercato (basta guardare il fatturato per mc. realizzato dalle prime 10 imprese del settore, pubblicato su il Sole-24 Ore di oggi); dall'altro, i comuni (sempre di meno) che ancora gestiscono in proprio la distribuzione, mantenendo quindi anche la proprietà della rete. Per questi ultimi le prospettive di redditività sono al lumicino e legate esclusivamente alla presenza sul territorio di un depuratore funzionante. La redditività della sola distribuzione dell'acqua, come è noto, è addirittura nulla per le gestioni in economia, poiché vige il limite di copertura dei costi all'80% che ha, tra l'altro, impedito di adeguare nel tempo le tariffe (in Italia già più basse che nel resto d'Europa). In questo modo, i proventi del canone di fognatura, per gli enti che gestiscono un loro depuratore, hanno una destinazione prioritaria a finanziare la manutenzione dell'impianto e, una volta coperti i costi di struttura e quelli (pochi) variabili, sono impiegati in altri settori, prevalentemente quelli dei servizi alla persona (assistenza, istruzione, ecc.). Gli investimenti sono però sempre più onerosi e l'unica soluzione nel medio periodo sembra proprio quella di cedere alle pressioni delle ATO provinciali. Le quali, peraltro, non essendo soggette a limitazioni di copertura e, anzi, dovendo fare profitti, finiranno per trasferire sugli utenti i maggiori costi di gestione. Le gestioni in perdita, onestamente, sono un controsenso economico anche nelle piccole pubbliche amministrazioni. Anche perché i deficit obbligatori sono comunque coperti da tributi o altre tariffe locali. Perciò, ben vengano le macrostrutture che possono liberare risorse per altre esigenze di spesa. A patto però di vedere che le economie di scala siano destinate a migliorare il servizio. Ci saranno meno sprechi, se l'acqua costa il doppio? Auspicabilmente, sì. Ma le municipalizzate non sono enti orientati all'ecologia. La privatizzazione della rete e, presumibilmente, della gestione devono essere accompagnate da un controllo sui prezzi costante. Altrimenti, anche chi modera i consumi pagherà l'acqua in regime di oligopolio.

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