Disco fisso

Improvvisamente, a partire dallo scorso 29 marzo, nel pur imponente sito dedicato agli acquisti in rete della P.A., si è aggiunto un intruso, atteso da mesi ma mai venuto compiutamente alla luce. C’è voluta l’insistenza di qualche dirigente per produrre infine quel decreto il cui testo mette nero su bianco la nuova procedura e contro il muro la stabilità informatica dell’intero sistema. Ottomila abbondanti comuni (ci limitiamo alla fattispecie più numerosa) hanno dovuto accedere all’unico indirizzo disponibile per chiedere cortesemente di sapere se il proprio fornitore è contemporaneamente moroso nei confronti dell’erario (in qualsiasi forma sia evocato). E, una volta accertato che la fedina fiscale è pulita, procedere alla liquidazione di quanto dovuto.
Il grottesco ripiegare su sé stessa della presunzione con la quale si è baloccato il ministero negli ultimi mesi è il segnale che una norma del genere è stata pensata senza avere neppure un’idea vaga del carico di accessi che avrebbe provocato sui poveri server, abituati a un più modesto traffico da pomeriggio al mare. La frittata però è giunta a cottura troppo tardi e la questione che si pone immediatamente è: se l’impalcatura del sistema poggia invariabilmente sull’informatica, come rispettare la legge quando è impossibile farlo per via normale? Sembra un’inezia, abituati come siamo a superare indenni qualsiasi ostacolo ci venga piazzato sulla strada dell’efficienza. Eppure qui c’è un terzo incomodo, che poi sarebbero i creditori, ai quali non è possibile dire un giorno sì e l’altro pure che: “mi spiace, non posso pagarla perché non posso chiedere l’autorizzazione.”, senza rischiare reazioni inconsulte e (francamente) non proprio ingiustificate. Si sta innescando, insomma, un meccanismo che, inevitabilmente, porterà o alla sistematica violazione della disposizione o a un’interminabile serie di contenziosi incrociati Comune-Equitalia-Fornitore dagli esiti imprevedibili.
Intanto, i giorni stanno trascorrendo veloci, e, nella apparentemente totale indifferenza dei tecnici ministeriali, l’unico rimedio al quale molti stanno pensando per non bloccare nel fango informatico le ruote della carrozza amministrativa è l’artificiosa suddivisione dei pagamenti in tranche inferiori a 10.000 euro. E’ una pratica corretta? Indubbiamente rasenta l’elusione, poiché il debito dell’ente è misurato in relazione alla prestazione offerta. Tuttavia, se parliamo di forniture ricorrenti, la suddivisione mensile dell’impegno annuale è una pura convenzione e non si vede perché essa non possa essere ulteriormente suddivisa (e la norma parla di ‘pagamenti’ sopra i 10.000 euro). Molto più azzardato ragionare parimenti per gli stati di avanzamento lavori di opere pubbliche. Non tanto perché l’importo complessivo del singolo SAL può superare largamente la soglia di legge, quanto perché l’approvazione dello stesso avviene in modo unitario e il frazionamento può nascere esclusivamente da accordi espliciti con l’impresa appaltatrice. In questo caso, parrebbe opportuno far rilasciare dall’impresa l’autocertificazione a suo tempo proposta dal Ministero in una circolare che pareva audace e invece anticipava solo il disastro a venire.
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