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venerdì 4 gennaio 2008

Concessioni governative

Non dovendo gestire direttamente l’IRAP, gli enti comunali non hanno mai prestato particolare attenzione ai suoi aspetti più viscerali, optando per una normale e attenta verifica degli adempimenti a loro carico (versamenti mensili, dichiarazione annuale, eventuale opzione per il metodo commerciale). Tuttavia, il tributo in questione rappresenta una sorta di avanguardia fiscale poiché le Regioni ne hanno sempre sbandierato l’uso per finalità di carattere sociale, soprattutto dopo che l’Unione europea l’aveva etichettata come anticostituzionale, almeno per giustificarne il peso sulle attività produttive colpite. Trattandosi di introiti gentilmente concessi dall’Erario, però, non era consentito concepire varianti all’imposta per sopperire a nuove necessità di spesa. Ora, la Finanziaria approva una operazione che si delinea immediatamente come di pura cosmesi, nonostante sia presentata come un passaggio di consegne da una gestione centralizzata ad una su base locale. L’art. 1, commi 43-44-45, L. n. 244/2007, infatti, proclama che dal 1° gennaio 2009 l’IRAP si configura come tributo istituito dalle singole Regioni. La motivazione del provvedimento discende dalla prossima adozione del disegno di legge sul federalismo fiscale che, in qualche modo, dovrebbe assegnare a ciascun livello di amministrazione locale il grado di autonomia utile a programmare le proprie entrate. Appena ci si addentra nel testo, però, si scopre in rapida successione quanto segue: 1. le Regioni non possono modificare la base imponibile; 2. le Regioni hanno la facoltà di introdurre e modificare l’aliquota, le detrazioni e le eventuali agevolazioni d’imposta, purché entro i limiti fissati dalla legge dello Stato. Intanto, qualche comma più in là, si decide che nel 2008 l’aliquota si riduce al 3,9% per coloro che applicano il metodo commerciale, oltre a mettere ordine nella determinazione della base imponibile. Non mi è mai risultato particolarmente chiaro il percorso logico del legislatore quando si tratta di delega di imposizioni tributarie. Perché invece di tracciare una linea retta tra tributi esclusivamente statali e tributi esclusivamente locali, ha sempre preferito rimanere sul filo sottile dell’ambiguità, dicendo alle autonomie locali in relazione al singolo tributo: questo lo faccio io, questo lo fai tu. Il modus operandi appena descritto vale per quasi tutte le fattispecie impositive (gli esempi macroscopici di IRPEF e ICI lo testimoniano in modo illuminante). Questa fondamentale ipocrisia era già sostanzialmente illegittima prima delle modifiche all’assetto costituzionale, poiché un tributo può, a buon titolo, definirsi, ad esempio, comunale se l’ente lo può gestire sul serio, non solamente se beneficia del relativo gettito. Così, oggi, l’autonomia fiscale locale rappresenta comunque un concetto parziale, perché ci sarà sempre un vincolo di una qualche specie all’origine, per frenarne l’autonoma variabilità. Si perpetua, in questo modo, la cattiva abitudine di considerare gli enti locali poco virtuosi a prescindere, quindi incapaci di tenere a freno l’istinto di aumentare indistintamente le aliquote, a danno dell’unico obiettivo condiviso: il rispetto dei vincoli del patto di stabilità. Ma questo pregiudizio, invece di essere risolto in modo netto, impedendo (al limite) agli enti di intervenire su qualsiasi tassa o imposta, viene continuamente barattato con piccole dosi di autonomia fiscale, facendo credere che i livelli amministrativi siano assolutamente distinti. Esso si scontra, infatti, con l’autonomia di fatto garantita ex Costituzione. Per conciliare le due opposte ragioni, in maniera finalmente non contraddittoria, serve ben più che una ripulitura linguistica. E considerando la centralità della carta fondamentale nell’ordinamento giuridico, chi dovrebbe fare almeno un passo indietro è proprio il legislatore. Poi, si va a vedere l’art. 1, c. 52, scoprendo che, dal periodo d’imposta 2008, la dichiarazione ai fini IRAP non deve essere più presentata in forma unificata. Ci mancherebbe, l’imposta diventa regionale, che motivo c’è di comunicarne i dati all’Agenzia delle Entrate? Della duplicazione degli adempimenti, dunque, poco importa al legislatore (la dichiarazione IVA, infatti, dovremo pur sempre presentarla e non è detto che le scadenze risulteranno uniformate). I governatori, nel frattempo, ringraziano. Noi, un po’ meno.

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