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giovedì 17 gennaio 2008

Aspetta e spera

Come un illusionista di lunga esperienza, l’Agenzia del Territorio vuol farci credere che la dichiarazione ICI, dal 18 dicembre, non è più. In quella data, infatti, uno specifico provvedimento ha accertato che il sistema di fruizione delle banche dati catastali a favore dei comuni è ‘effettivamente operativo’. Due paroline magiche richieste dal primo Decreto Bersani per dimostrare agli enti che la carta non serve più e non è neppure necessario quindi che il contribuente si debba preoccupare di comunicare alcunché quando, ad esempio, acquista o vende un immobile. Ma si tratta di una mezza verità. Lo stesso D.L. n. 223/2006, infatti, si era già premurato di precisare che la dichiarazione cessava di esistere, sì, ma non quando gli elementi della variazione non possono essere dichiarati per via telematica, con il cosiddetto MUI. Resta così un dubbio: se in primavera arriverà il consueto decreto che approva il modello di dichiarazione. E perché non dovrebbe? Quali sono infatti gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta che dipendono “da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico”? Tutti quelli che non riguardano: la registrazione di atti relativi a diritti sugli immobili, la trascrizione, l'iscrizione e l'annotazione nei registri immobiliari e la voltura catastale. Dunque, non sono poche le fattispecie per le quali resta operativo l’obbligo di presentare la dichiarazione. All’appello mancano ad esempio: la richiesta per ottenere il beneficio derivante da norme agevolative o esentive; la costituzione di diritti sugli immobili diversi da quelli indicati nel D.Lgs. n. 463/1997 come il leasing o la concessione di aree demaniali; le variazioni relative agli immobili di cat. D per tutto il periodo nel quale l’imposta si calcola sul valore contabile e quindi fino alla data di attribuzione della rendita catastale; la cessazione o l’inizio dell’utilizzo di unità immobiliari come abitazioni principali; la realizzazione e la conclusione di interventi di ristrutturazione; la variazione del valore delle aree fabbricabili; qualsiasi nuovo accatastamento; le variazioni di carattere tecnico (come le variazioni nella classe catastale dell’immobile). E’ impossibile quantificarle con esattezza, ma non c’è dubbio che, complessivamente, raggiungano un considerevole numero. Con sincerità, dico subito che non mi spiace davvero constatare la sopravvivenza di una relazione in forma cartacea tra contribuente e ufficio tributi. Niente, infatti, può dare più sicurezza di un tangibile documento, sottoscritto perdipiù, non soggetto all’aleatorietà informatica di un server magari remoto. E’ proprio del contrario che mi preoccupo. Se davvero la consultazione dei dati è cosa fatta, diverso è sostenere che i dati disponibili siano aggiornati. E’ vero che non dobbiamo fare troppo gli schizzinosi, tenuto conto che la dichiarazione si presenta l’anno successivo a quello nel quale è intervenuta la variazione. Quando, però, la nostra efficienza non dipende dalle nostre elaborazioni, ma dalla solerzia di chi gestisce una banca dati centralizzata, un sottile brivido di inquietudine mi percorre la schiena. L’unica cosa di cui siamo ormai certi è che la comunicazione ICI è ormai oggetto da antiquariato. In giro per gli uffici tributi italiani ne esistono talmente tante varietà che sembra di essere all’epoca dei miniassegni (i non più giovanissimi ricorderanno), diventati in pochi anni oggetti effimeri da collezione, per lo più inutili.

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