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lunedì 19 novembre 2007

Meredith

L'autonomia degli enti locali non è un dogma. Non lo è stato fino all'altro ieri, quando, prima dell'approvazione della seminale legge 142/1990, l'espressione 'autonomie locali' era relegata nelle riviste semiclandestine di qualche avanguardia dottrinale, speranzosa di trovare udienza, infine, un giorno, presso il legislatore. Non lo è oggi, purtroppo, benché la bocca degli esperti si riempia regolarmente di buoni propositi e di principi apparentemente intoccabili. I cattivi esempi di questo schizofrenico balletto sono quotidiani e sempre allarmanti. Ha voglia la Corte costituzionale a mettere qui e là pezze per coprire il tessuto liso della discrezionalità amministrativa. Ci pensa sempre un provvedimento normativo a rimettere al loro posto velleità e rivendicazioni che nascono dal basso non per spirito anarchico ma per legittime disposizioni vigenti. Eppure. Quando viene il momento di tirare il freno, chi le leggi le approva non perde neppure un minuto. La proposta di legge Finanziaria per il 2008 non fa eccezione, naturalmente. Fateci caso, nel menù a prezzo fisso del legislatore, l'unica voce ineliminabile è quella delle società partecipate (ci sarebbero anche i prodotti della finanza derivata, a dire il vero, ma questi ultimi rappresentano più il piatto del giorno che non la tradizione). L'articolata manovra del ddl già esaminato e approvato dal Senato prevede che dal prossimo esercizio la costituzione o l'acquisizione di partecipazioni di società per la produzione di beni o servizi di carattere istituzionale sarà vietata, a meno che la scelta non riguardi attività di interesse generale. A quest'ultimo proposito, togliamo subito il dubbio di qualcuno: le farmacie non sono istituzionali e, certamente, servono la collettività, quindi non rientrano nella moratoria. Però, tutte quelle società di capitali sorte negli anni al solo scopo di liberare il bilancio comunale dei costi del personale adibito a funzioni ad esempio contabili o di segreteria o di servizi culturali, saranno illegittime. Tant'è che, entro giugno del 2009, dovranno essere cedute, seguendo, inoltre, una procedura ad evidenza pubblica. Inoltre, il consiglio dell'ente dovrà riunirsi per giustificare, alla luce di questi principi fondanti, tutte le partecipazioni esistenti. Talvolta è difficile non cadere nella trappola del buon senso tesa dal legislatore. Chi contesterebbe una norma costruita non per razionalizzare (operazione che presupporrebbe un'analisi approfondita di costi e benefici), ma per potare rami senza verificare se siano sani o meno. Eppure, dietro i nobili intenti del provvedimento non si riesce a non leggere la mai abbandonata febbre centralista che solo pochi giorni fa Vincenzo Visco addebitava alla detrazione statale ICI. E che si tratti di tributi piuttosto che di diritto societario, la conclusione è sempre quella: come diceva il generale Custer (parlando d'altro), l'unica autonomia buona è quella defunta. Più elegantemente, il buon giurista preferirebbe chiosare con dura lex, sed lex. In mancanza di identica autorevolezza, è più chiaro sostenere che, a questa perenne ipocrisia federalista, preferiamo di gran lunga l'antica strada maestra del dirigismo: a ciascuno il suo posto, senza infingimenti.

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