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giovedì 8 novembre 2007

Invasione di campo

Anche il Lenzuolo rosa si compiace della sentenza della Cassazione che, bacchettando vigorosamente le mani dei ministeri, attribuisce alle interpretazioni di legge proposte con circolari e risoluzioni l'efficacia di un'opinione. La pronuncia della Corte riapre vecchie ferite e, senza alcuna remora, sceglie da che parte stare, avvertendo i destinatari della prassi che hanno le spalle coperte, perché persino il ministero non è vincolato alle cose che ha scritto, figuriamoci il cittadino oppure la magistratura. La soddisfazione giornalistica nascerebbe da una buona vecchia abitudine del Lenzuolo: avvertire preventivamente il lettore che è sempre più saggio dar retta alla legge che non alla pur autorevole posizione del dicastero competente. Dunque, via libera senza timori all'anticonformismo. La circolare non ci soddisfa? Non importa, facciamo altrimenti. Se non fosse che, nel caso in cui l'interpretazione ministeriale sia più restrittiva rispetto alla norma di legge, il contribuente potrebbe scegliere di uniformarsi alla prima, mettendosi ai ripari da qualsiasi contestazione, ma sostenendo allo stesso tempo costi che, seguendo la sola lettera normativa, avrebbe legittimamente evitato. E se questa posizione, dalla tonalità vagamente intimidatoria da parte del Ministero, ha un'eco importante nel settore privato, figuriamoci quando il destinatario dell'abilità dialettica dei dicasteri (si parla dell'Agenzia delle entrate ma non solo) sono gli enti locali. Gli esempi dai quali ricaviamo ogni giorno materiale per ribattere e polemizzare sono anche più pericolosi. Perché, in alcuni casi, la scelta espressa in circolari e risoluzioni non azzarda solamente una mera interpretazione della norma giuridica per metterle paletti anche laddove non se ne vede un motivo giustificato dal diritto. Piuttosto, essa allarga inopinatamente il raggio d'azione della legge e gli dà una veste tutta sua, senza neppure dubitare di stare commettendo un fallo da cartellino rosso. Rammentate la recente vicenda dei pagamenti sopra i 10.000 euro, finita in una bolla di sapone, ma dominata per settimane dalle imposizioni ministeriali che avevano già individuato la procedura da seguire prima ancora dell'emissione del decreto attuativo. L'onerosità della quale si preoccupa giustamente il quotidiano si è diffusa, in questo caso, a macchia d'olio, soprattutto in termini di tempo buttato via: dai fornitori che, pur di essere pagati, inviano (continuano a inviare) dichiarazioni sostitutive a più non posso, ma pure dagli stessi uffici pagatori che hanno sperato invano di trovare rapidamente la prova della solvibilità del fornitore. Le scelte azzardate dell'amministrazione finanziaria, insomma, ingenera comportamenti concreti alle cui conseguenze è difficile rimediare. Poi, è vero, c'è chi, come Equitalia Spa, ha compreso che il Ministero ha una voce in capitolo circoscritta e ha scelto di non collaborare con nessuno in attesa del D.M. (e fiutando, probabilmente, l'avvento di una norma sospensiva che pure è arrivata). Ma questa eccezione, anziché smorzare la fiammella dell'agitazione, ha spinto una tacca più in su il livello della confusione. E i costi di un blocco così incomprensibile dell'attività amministrativa non li rimborsa nessuno. Ovviamente, nemmeno i ministeri.

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