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venerdì 30 novembre 2007

Il velo dipinto

Siamo così usi, nelle ultime settimane, a sentir parlare di derivati da parte di chiunque che risulta quasi impossibile sfuggire a una sorta di rassegnazione: il prezzo da pagare per aver lasciato scorrazzare gli istituti di credito nei corridoi della finanza locale. Fosse tutto così semplice, però, risolveremmo il problema chiudendo occhi e orecchie, sfuggendo definitivamente alla ripetitività di un dibattito in realtà mai decollato. Non è mai troppo tardi, invece, per riaprire i sensi a qualche idea espressa con chiarezza e con l'autorevolezza dell'economista di fama. Mi riferisco al breve saggio (non vedo come meglio definirlo) dedicato sullo Struzzo giallo di oggi all'argomento a firma di Mario Sarcinelli. Quest'ultimo, ex direttore generale del Tesoro e attualmente presidente di Dexia Crediop, banca d’affari leader in Italia per la finanza pubblica e il project financing, prende la confezione regalo dei derivati e la scarta del suo involucro luccicante per mostrarci il suo personalissimo punto di vista. Che si sia d'accordo o meno con le argomentazioni esposte, balza subito all'occhio la differenza abissale tra i ragionamenti di Sarcinelli e gli strilli vacui finora ascoltati sul tema. Basta che non ci si dimentichi nel corso della lettura da quale parte del contratto finanziario sta l'istituto da lui oggi diretto. Di fronte a un quasi unanime coro dispregiativo nei confronti degli strumenti ormai definitivamente associati con Milena Gabanelli, Sarcinelli cambia la prospettiva di osservazione. Perché, si chiede, gli enti locali (come qualsiasi altro operatore autorizzato sul mercato) stipulano contratti di finanza derivata? Risposta: per assicurarsi contro il rischio contenuto in altre operazioni finanziarie. Oppure per finalità speculative. Se quest'ultimo obiettivo è perseguito da enti privati, l'alea è a carico esclusivo di questi ultimi. Quando a rischiare è un ente pubblico, invece, l'esigenza di regolamentare l'attività finanziaria è al massimo livello. Non sarebbe meglio dunque chiudere definitivamente i rubinetti per operatori che, notoriamente, non sono esperti di cap e collar? Che Sarcinelli rispondesse di no era nell'ordine delle cose (come se il presidente della Coca Cola sostenesse che le bevande gassate fanno male allo stomaco). Piuttosto va messa in evidenza la non banale tesi a sostegno. Si tratta di una motivazione che più economica non si può: se fossimo in un mercato perfetto gli enti locali potrebbero accedere in ogni momento a tutti gli strumenti finanziari desiderati, al costo più basso. Non avrebbero perciò bisogno di aggiustare la propria posizione acquistando un derivato. Siccome così non è, se si vietasse questa via d'uscita, il costo dell'indebitamento sarebbe più elevato e gli enti si troverebbero senza alternative da percorrere per meglio modulare il servizio del debito. Ma è proprio così? Lo stesso Sarcinelli ammette che, all'interno degli enti locali, nè amministratori nè tecnici sono in grado di offrire sufficienti competenze per comprendere sino in fondo le sfumature di un contratto di finanza derivata. Il che però significa anche che, quando l'ente locale si fa convincere a stipulare (ad esempio) uno swap, è il luccichio delle somme versate in up-front che fa la differenza, non la valutazione sulla flessibilità complessiva dei mercati finanziari. Sarebbe bello credere in un'analisi a tavolino lunga e meditata, ma, checché ne pensi Sarcinelli, non è questo il mondo reale. Che è fatto di sindaci golosi (di liquidità immediata) o avventati (perché il debito invece di diminuire, aumenta). Anche escludendo le attuali forme di controllo sulla stipulazione dei derivati (che ne determinano addirittura l'efficacia), un eventuale divieto comporterebbe semplicemente il ritorno a un passato nel quale l'eccesso di liquidità nel sistema era gestito dalla Cassa DD.PP. e dagli altri istituti bancari con un oculato mix di tassi fissi e variabili, nel quale l'ente locale trovava il mutuo più adatto alla sua necessità spendendo non più di quanto il mercato chiedeva agli operatori. L'imperfezione di oggi, in realtà, è dettata più dall'eccesso di confidenza nei confronti di prodotti nati per scopi men che pubblici e dunque a noi non adatti. Ciò non toglie che l'analisi di Sarcinelli restituisca finalmente al dibattito il tono serio che merita. Peccato per il titolo, immagino non suggerito dall'autore: di rumore se n'è sentito davvero tanto, che dietro ci sia solo una bolla di sapone, tuttavia, è una beata illusione.

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