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mercoledì 7 novembre 2007

Gentlemen's agreement

La vendetta del Ministero non si è fatta attendere. Non sono passati che pochi giorni dalla pubblica rivelazione della Corte di Cassazione che, sostanzialmente, derubrica le interpretazioni ministeriali a prese di posizione di una delle parti in causa, dunque non cogenti, non solo erga omnes, ma addirittura anche nei confronti di coloro i quali chiedono, ad esempio con un istanza di interpello, lumi ai funzionari. Evidentemente, la rovente precisazione giurisprudenziale ha immediatamente fatto scattare moti di orgoglio nelle stanze dell’Agenzia delle entrate. Ed è stata celermente predisposta una risoluzione, lunga e, a quanto pare, meditata, su un tema raramente preso in considerazione ma che qui viene sminuzzato come il pane secco e risolto con una sciabolata finale che fa parecchio male. Nella risoluzione n. 314 di lunedì scorso, si racconta di un’associazione tra comuni, regolata con il sistema della convenzione, alla quale gli enti partecipanti hanno devoluto lo svolgimento di una serie cospicua di attività: dal Servizio di polizia municipale alla gestione economica del personale; dal servizio di trasporto scolastico al contenzioso tributario in materia di fiscalità locale. La frequenza con la quale negli ultimi anni gli enti locali hanno approfittato delle opportunità offerte dall’art. 90 del vecchio (affettuosamente) TUEL per razionalizzare le risorse disponibili e offrire standard di erogazione dei servizi di buon livello è un segnale da interpretare di volta in volta. C’è chi lo ha utilizzato davvero per ottenere quell’efficienza che oggettivamente chiunque avrebbe rilevato, e chi, al contrario e con eccessiva spregiudicatezza, ha ritenuto di esternalizzare servizi a più non posso, anche prima di aver verificato che il sistema associato avrebbe funzionato come si deve, e con il chiodo fisso del personale come zavorra. Detto questo, la soluzione adottata dagli enti interpellanti è parecchio articolata. L’ampiezza dei servizi erogati in convenzione fa quasi pensare a un’unione di comuni o a un consorzio. Siccome la scelta è invece caduta su un mezzo molto più agile, che non comporta la costituzione di nuovi organi collegiali, poiché di fatto non esiste una nuova entità giuridica autonoma, la libertà d’azione è decisamente maggiore e nel quesito si chiede al Ministero di sciogliere una volta per tutte il seguente dubbio amletico: le somme erogate dai singoli enti al comune capo convenzione per lo svolgimento delle diverse attività sono assoggettate a IVA? Nella risposta, nel mezzo di una logorroica lettura dei termini della convenzione, si propone una distinzione tra spese per attività istituzionali e spese per gestione associata di servizi. La convenzione ha, come accade ordinariamente, un comune capofila. E’ nel bilancio di quell’ente che sono iscritte tutte le uscite relative alle attività istituzionali svolte e in entrata le somme che periodicamente sono ripartite tra gli altri partecipanti. Per la gestione dei singoli servizi, invece, sono stipulate tante singole convenzioni, ognuna delle quali regola in modo specifico i rapporti tra gli enti. Il Ministero dice subito che non ha intenzione di esaminarle tutte e si limita a prendere in considerazione, guarda caso, quella più delicata relativa alla gestione del contenzioso tributario. E qui la sorpresa. Perché di fatto l’attività svolta dall’associazione in materia di tributi rappresenta l’esercizio di un’impresa commerciale. Attenzione: non stiamo parlando di un’attività appaltata a società specializzata dal comune capofila, ma di un servizio contenzioso gestito con mezzi e personale propri. Il quale viene addebitato ai singoli comuni partecipanti anche in proporzione all’importo dei ricorsi gestiti. Che si tratti di corrispettivi, non mi pare ci sia ombra di dubbio (dunque sicuramente rilevanti ai fini IVA). Siamo certi, però, che in aggregato questa attività rappresenti un sistema efficiente?

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