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martedì 20 novembre 2007

Effetti collaterali

Non aveva fretta, il Consiglio di Stato. Tanto è vero che la bozza del decreto ministeriale per regolare il blocco dei pagamenti ai contribuenti morosi verso l'erario gli era stata sottoposta, per l'espressione di un doveroso parere, nel lontano mese di luglio. Addirittura prima delle due fatidiche circolari che lo stesso Ministero aveva partorito suscitando (insieme ad altri documenti altrettanto sconcertanti) quel putiferio che ben ricordate. Ora che, con profetica calma, il parere è stato rilasciato, emergono alcuni elementi di fondo che fanno ripensare all'intera questione come alla tipica parabola nazionale del 'tanto rumore per nulla'. Osservo, ad esempio, che la procedura pensata dal dicastero economico per organizzare il passaggio delle informazioni a Equitalia è di una linearità cristallina. Il "soggetto pubblico" (secondo la definizione dell'art. 1) che deve effettuare il pagamento superiore a 10.000 euro inoltra preventivamente alla stessa Equitalia una richiesta, che ha il sapore di un ok motivato, per conoscere le pendenze del soggetto che attende il pagamento. A carico di quest'ultima, poi, il decreto pone l'attività di controllo della posizione debitoria del fornitore. Se, trascorsi cinque giorni dall'invio, nessuna indicazione proviene da Equitalia, l'ente può provvedere al pagamento senza ulteriori indugi. In caso contrario, invece, all'ente sarà trasmessa una comunicazione con l'indicazione del debito tributario del soggetto e il preavviso all'agente della riscossione per procedere con l'attività di recupero del credito. Tutt'altra musica rispetto alla dodecafonia proposta nelle circolari di cui si diceva, che proponevano fantomatiche autocertificazioni senza liberare davvero l'amministrazione pubblica rispetto a un obbligo che la legge poneva (e pone tuttora) a suo carico. Al Consiglio non par vero di poter concludere che: "l'introduzione dei limiti quantitativi e temporali (...) appare coerente con la ratio del provvedimento". Tra l'altro, se trascorrono altri trenta giorni dalla sospensione del pagamento e l'agente della riscossione non comunica l'avanzamento della procedura, l'amministrazione procede comunque al pagamento, riducendo all'osso qualsiasi lungaggine dovuta all'instaurarsi del rapporto con Equitalia. Sulla definizione di 'pagamento', poi, il Consiglio di Stato si fa più realista del re. Poiché la norma non fa distinzione alcuna rispetto al destinatario dei controlli di insolvenza, rimanendo come unico vincolo quello dell'esistenza di un debito tributario verso l'erario, qualsiasi pagamento della pubblica amministrazione può, in linea teorica, rientrare nell'ambito della norma. E così viene gettata alle ortiche anche la presunzione del Ministero nel voler ragionare di pagamenti periodici piuttosto che di emolumenti a dipendenti. Tutto ciò che rappresenta debito della P.A. è suscettibile di essere controllato, anche se una maggiore precisione non guasterebbe. Interessante è poi la querelle che coinvolge Garante per la protezione dei dati personali e Ministero. Il primo aveva proposto alcune modifiche al decreto per attuare la riservatezza dei dati al massimo grado. Il secondo si è adeguato di buon grado, su tutto tranne che su un punto: nella comunicazione iniziale, l'ente deve specificare l'importo del pagamento che subisce la sospensione. E il Consiglio di Stato concorda con la scelta del dicastero. Che ora, però, si trova nella condizione di doversi riferire a due testi differenti. Il 48-bis su cui è stato costruito il decreto non è più, sostituito da una versione light che, oltre ad attendere lo stesso provvedimento ministeriale, gli consente anche di alzare la soglia dei pagamenti oltre i quali attivare l'intera procedura. Rischierà, ora, di mandare tutto all'aria cambiando il testo già battezzato da Palazzo Spada?

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