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giovedì 4 ottobre 2007

Pane e volpe

Fa sorridere il caso della contribuente che ha proposto ricorso (vincendolo in Cassazione, dopo ben due sconfitte in primo e secondo grado) contro due cartelle esattoriali emesse dal concessionario a fronte di avvisi di accertamento ICI, a quanto sembra, mai notificati. Ma solleva a un tempo anche più di una preoccupazione. Non tanto perché la gentile signora ricorrente non abbia dalla sua abbondanti ragioni (in punto di diritto e di fatto), quanto perché riporta all’attenzione generale la qualità del servizio tributi dei comuni.
Lungi dal prendere quest’ultima vicenda come campione rappresentativo di una realtà diffusa a livello nazionale, sarà in ogni caso l’ora di sottolineare che disattenzioni come quelle rilevate non possono essere considerate errori veniali. Bisogna però capirne innanzitutto le origini.
Prendiamo in considerazione i Comuni meno strutturati, fissando idealmente la comoda soglia dei 5.000 abitanti, e dunque rivolgiamo l’attenzione a una percentuale che non scende sotto il 75% del totale. In questi enti è estremamente raro trovare un ufficio tributi che sia adeguato a gestire direttamente tutte le fasi del contenzioso. Di norma, infatti, il responsabile del servizio finanziario è anche il responsabile di quello tributi e a uno o più collaboratori quest’ultimo ha assegnato la sola responsabilità del procedimento, ma si tratta di dipendenti che non sempre sono adibiti in via esclusiva alla gestione dei tributi, dovendo occuparsi comunque anche di ragioneria o personale.
Non mi dispiacerebbe essere smentito, anche clamorosamente, ma la fotografia della situazione reale non è in media diversa da come l’ho appena scattata. Da ciò discendono due conseguenze: se il controllo dell’evasione tributaria è stato assegnato all’esterno a una delle innumerevoli società che si propongono per svolgere questi servizi, la struttura interna deve comunque fare da adeguato filtro e seguire tutte le fasi procedimentali che seguono alla stampa degli avvisi di accertamento (compresa, ovviamente, la sottoscrizione degli stessi, adempimento tutt’altro che formale), quindi essa non può permettersi di esaminare gli atti prodotti da terzi con superficialità perché la responsabilità a quei terzi non la si può delegare.
Se anche la fase preliminare, che va dal controllo delle posizioni alla costruzione degli atti impositivi veri e propri, è demandata al personale interno, si capisce bene che il carico di lavoro, soprattutto nel periodo finale dell’esercizio, diventa particolarmente gravoso. E dunque, o a tutti gli addetti è garantita una continua e adeguata formazione professionale (il che significa approvare seriamente un piano conforme alle aspettative), oppure sarà del tutto impossibile star dietro alla parallela evoluzione di legislazione e giurisprudenza e con questo gestire il contenzioso con colpevole superficialità.
Badate bene che non sto indicando assunzioni a raffica, oggi impossibili persino con il contagocce. Più razionalmente, penso che un ufficio tributi debba innanzitutto essere all’altezza della complessità della materia, e non solo in grado di gestire l’attività di sportello, per quanto indispensabile.
Con ciò, tornando al casus belli, è vero che le motivazioni con le quali le Commissioni provinciale e regionale avevano sostenuto le ragioni comunali erano discutibili: “la mancata notificazione degli avvisi di accertamento non era da prendere in considerazione perché ciò è rilevabile dalla cartella esattoriale e dai tabulati delle notifiche in possesso del comune...”. Tuttavia, a quel punto, quella era l’unica via di fuga. Che, alla fine, il torto dell’ente sia stato riconosciuto dimostra solo che è stato commesso un errore. Madornale, forse. Ma che non si ripeterebbe in un’organizzazione costruita coi fiocchi.

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