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lunedì 15 ottobre 2007

La parola ai giurati

E’ cassazione’ si diceva una volta, a sottolineare un argomento definitivo, che non ammetteva repliche o dubbi. All’autorevolezza della magistratura (di qualsiasi giurisdizione si trattasse) si rendeva merito, introducendola addirittura nel vocabolario comune, e riaffermando un certo timore reverenziale che oggi, al contrario, fa meno presa, annacquato com’è da protagonismi da talk-show e dalle mille contraddizioni del sistema giudiziario. Ci si mette, poi, il potere subdolo delle categorie professionali a rendere ancora più arduo un eventuale ritorno in auge del carisma togato. Prendiamo, ad esempio, la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un segretario comunale, al quale l’amministrazione aveva contestato l’assenza dal servizio, che riteneva corretto non dover certificare la propria presenza in ufficio tramite timbratura poiché, nei comuni di minori dimensioni, segretario equivale a dirigente e dunque esonero dall’uso del cartellino. Palazzo Spada non ha accolto questa tesi e, in poche righe, ha smontato la difesa del funzionario sostenendo che, a contrario di quanto dedotto, neppure il segretario deve ritenersi esonerato dall’obbligo di segnalare che è entrato in servizio, ‘come tutti i dipendenti’. La citazione di due note del Viminale del 1994 a supporto di questa tesi, è in realtà solo ad ulteriore conforto di una posizione mai così chiara. Non risulta, infatti, che i dirigenti comunali siano esonerati dalla timbratura. Il fatto che, in quanto dirigenti, possano distribuire il loro orario di lavoro con maggiore elasticità (essendo vincolati ad un’obbligazione di risultato), non li esime peraltro dal controllo del rispetto dell’orario di servizio (una vecchia circolare della Funzione pubblica – 24 febbraio 1995 - si spingeva un po’ più in là e sosteneva che l’osservanza dell’orario di lavoro “costituisce un obbligo dei dipendenti pubblici, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita della Pubblica Amministrazione.” Questa affermazione di principio, che richiama più le regole del buon senso che non quelle della stretta prassi amministrativa, non è stata affatto apprezzata dalle parti dell’Agenzia dei segretari. Pare, insomma, che il badge magnetico produca in certi ambienti allergie mica da ridere. I lacciuoli rappresentati da questa pratica così invisa ai notai comunali rammentano molto da vicino il concetto di ‘mano invisibile’ caro ad Adam Smith, il quale non perdeva occasione di ricordare che era giusto non mettere vincoli al droghiere sotto casa nella gestione del suo negozio, perché, nel lungo periodo, i suoi interessi personali sarebbero coincisi con quelli collettivi. Con la differenza che questa libertà di movimento, secondo Smith, valeva per ogni categoria economica. Qui, invece, si vuol far credere che la corsia preferenziale non è semplicemente un privilegio ma l’esito di un’evoluzione normativa (c’è addirittura un contratto nazionale a dirlo a voce alta), giustificando il mantenimento di una cattiva abitudine a priori, indipendentemente da qualsiasi giudizio sul merito e sull'opportunità. L’ostinazione a essere trattati come mosche bianche della pubblica amministrazione è manifestamente anacronistica. Non vi sono ragioni logiche (e neppure di efficienza economica) che giustifichino per i segretari, oggi come ieri, un trattamento differente da ogni altro lavoratore della P.A. A meno che questi pruriti non nascondano altre, e meno nobili, motivazioni. Ma, dicono, a pensar male si fa peccato.

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