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lunedì 8 ottobre 2007

Hit parade

L’abbiamo scampata per il rotto della cuffia. Ma è un sollievo temporaneo. Dalla prossima primavera, anche gli enti locali dovranno compilare e trasmettere per via telematica all’Agenzia delle Entrate l’elenco clienti e fornitori ai fini IVA. Si tratta, per quest’anno, di un indubbio favore, generato dall’interpretazione amichevole della normativa fornita dalla stessa Agenzia con la circolare n. 53/E dello scorso 3 ottobre.
Testo nel quale si legge: “Inoltre, lo spirito della norma e il suo intento ultimo consente di affermare che destinatari dell’esonero in disamina, per l’anno 2006, sono tutti gli esercenti attività economiche e professionali non obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria ai fini delle imposte dirette (ossia, ad esempio, anche i produttori agricoli che non producono reddito d’impresa, ovvero gli enti non soggetti ad IRES, quali lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico).
Il richiamo allo spirito della norma e al suo intento ultimo farebbero pensare a chissà quali principi del diritto naturale. Più modestamente, si tratta di un ulteriore esempio di ‘normativa per eccezione’: la regola è lì, bella e pronta, valida erga omnes. I destinatari, invece, diminuiscono giorno dopo giorno, dopo aver verificato che, per qualche motivo, non possono proprio adempiere per tempo.
Che la compilazione degli elenchi sia onerosa (per usare un eufemismo) non c’è bisogno di scomodare il signor Stakanov per osservarlo. Ciascuna scheda cliente o fornitore contiene una serie dettagliata di elementi che necessitano più di una verifica prima di poter essere inviati serenamente all’Agenzia. Dunque, lungi da me l’idea di lamentarmi per lo scampato pericolo. Quello che invece mi sembra evidente, e del quale continuo a dolermi, è che il favoritismo per l’ente locale si sviluppa a tempo determinato, quasi a riconoscere che, sì, le difficoltà ci sono e meritano un rinvio, ma senza pretendere l’esenzione a vita. Sfugge, cioè, il senso di questi eterni rinvii: la norma che prevedeva nuovamente l’invio degli elenchi è in vigore da un pezzo, dunque anche il primo esonero non è realmente giustificato da esigenze reali. Allora perché un anno no e l’altro si?
Se si analizza l’elenco dei soggetti esonerati comunque (quest’anno e i successivi), si scopre che trattasi di enti che svolgono attività non a scopo di lucro o che (in quanto contribuenti minimi ai sensi dell’art. 32-bis, D.P.R. n. 633/1972) hanno un volume d’affare manifestamente esiguo. In questi casi, la compilazione degli elenchi risulta eccessivamente onerosa e allo stesso tempo irrilevante per gli obiettivi informativi dichiarati dalla norma.
Anche gli enti locali risultano esonerati sine die, ma solo per le attività istituzionali. Ma gli enti locali non sono un’entità omogenea, anzi, prevalgono com’è noto, le realtà piccole o piccolissime, dove il volume d’affari è parallelamente basso (relativo ai servizi di mensa e trasporto scolastico, soprattutto), avendo esternalizzato attività ben più ‘pesanti’ come, ad esempio, la gestione del servizio idrico integrato. Non c’è motivo, allora, di non ritenerli suscettibili di rientrare (previa verifica, ovviamente) tra i contribuenti minimi.
Ci si ostina, invece, a fare un ragionamento cumulativo che dimostra la scarsa dimestichezza del legislatore con le dinamiche operative delle autonomie locali. Certo, di questo non ci accorgiamo solo ora. Tuttavia, la constatazione che nulla cambia mai davvero, non è meno desolante.

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