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mercoledì 17 ottobre 2007

Febbre alta

Tira un’aria pesantissima dalle parti del settore informatico del Comune di Milano. Dopo che la procura della Repubblica è entrata con veemenza nel beato mondo della protezione informatica del capoluogo, ci si comincia a chiedere se mai potrà nascere davvero un unico sistema che metta in condizione l’intera penisola di comunicare e trasmettere dati da una pubblica amministrazione all’altra. Pare infatti che un impegno di circa un milione di euro (all’anno) per l’acquisto di software antivirus per la tutela di centinaia di postazioni municipali, dopo essere stato regolarmente onorato dal fornitore, ma anche dal cliente, che ha pagato con puntualità le relative fatture, sia rimasto inutilizzato, nei cassetti di qualche funzionario indolente. Nessuno si è preoccupato di installare gli applicativi, tutti probabilmente ancora incellofanati. Sicché, al primo serio attacco di qualche hacker autoctono, si è prodotto il classico bailamme di dati cancellati oppure arbitrariamente modificati. Stanno cadendo parecchie teste nel frattempo, e neppure di second’ordine. Di ognuna si può dire tutto tranne che si sia trattato di una svista, anche perché l’ordine di acquisto non è certo stato calato da un’entità sconosciuta. Il macroscopico scivolone, giustamente piazzato sotto i riflettori della stampa famelica di gettar fango sul settore pubblico, stavolta potrebbe davvero creare un danno indiretto difficilmente riparabile. Ci si arrabatta ogni giorno, nelle realtà più modeste della provincia tricolore, per utilizzare le poche risorse informatiche assegnate. E soprattutto dove non è concepibile istituire dei veri e propri CED (sostanzialmente nel 90% dei casi), il lavoro di chi si improvvisa amministratore di server è pressoché invisibile. Dando per scontate (da parte degli amministratori nel senso di politici) competenze probabilmente autodidatte, ma autenticamente appassionate e perciò mediamente disinteressate (benché un riconoscimento almeno per lo spirito di iniziativa se lo meritino). Eppure, in tutti questi enti, i misconosciuti campioni del silicio nostrano hanno trovato più di un sistema (legale) per ovviare agli inconvenienti del microterrorismo da pc. Non è infatti un mistero per alcuno che sono reperibili, senza dover spendere un euro, ottimi software antivirus che forniscono una barriera magari non sofisticatissima, ma assolutamente sufficiente a filtrare i più comuni tecno-bacilli. E dunque, se ogni anno si spreca il milione fatidico in quel modo, il vulnus prodotto è almeno triplice. Se la magistratura ordinaria farà il suo corso, dopo aver correttamente accertato responsabilità per violazione della normativa sulla privacy, conseguenza dei cyber-lucchetti scardinati senza fatica, e quella contabile chiederà conto di quegli applicativi lasciati lì a prender polvere, a qualcuno verrà pure in mente di verificare perché, a monte, si deve passare sempre per la strada più onerosa, senza neppure buttar l’occhio su un mondo, quello del freeware e dello shareware, pieno di belle sorprese, per un occhio appena curioso. Un puro ragionamento di efficienza economica, niente più.

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