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venerdì 7 settembre 2007

Romanzo popolare

Ci eravamo distratti. Avevamo concentrato ogni attenzione sugli enti ecclesiastici e sui loro beni immobili. La saturnina normativa e la ferma giurisprudenza giocavano a rimpiattino per decidere infine le sorti di qualche centinaia di milioni di euro in più o in meno nelle casse comunali di tutt'Italia. Nel frattempo, mentre l’esenzione ICI per questi enti andava e veniva, anche sulla spinta insistente dell’Unione europea cavaliere della libera concorrenza, si attribuivano quasi in sordina inaspettati vantaggi a un'altra vecchia conoscenza degli uffici tributi: gli istituti regionali di gestione delle case popolari. Gli ormai ex IACP sono da sempre una spina nel fianco delle commissioni tributarie e della Corte di cassazione, a causa dell’instancabile volontà di ottenere una volta per tutte la tanto desiderata (e pretesa) esenzione dall’ICI. La CTP di Bari, con sentenza dello scorso febbraio, si è infine stancata di negare agli istituti il ristoro per la loro benefica attività e ha stabilito che, sì, non devono proprio pagarla quest'ICI. Lo riporta oggi lo Struzzo giallo insieme a un caustico commento di un membro del gruppo Focus-Anutel sulla giustizia tributaria. La motivazione giuridica dell’esenzione avrebbe origine dalla pacifica natura pubblicistica degli IACP (li chiamiamo ancora così per comodità) i quali, per giunta, eserciterebbero ordinariamente un’attività non commerciale, perseguendo finalità di natura assistenziale nella gestione del patrimonio immobiliare a loro affidato. Pertanto, sarebbe possibile farli ricadere nella fattispecie agevolativa prevista dall’art. 7, c. 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504/1992 che individua come esenti gli immobili utilizzati da enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali. La CTP non si accontenta, com’è ovvio, della lettera della norma principale, ma argomenta la sua tesi utilizzando a suo favore quanto previsto dall’articolo 7, comma 2-bis, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (sostituito dal decreto Bersani del luglio 2006), che stabilisce l’applicabilità dell’esenzione alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale. E’ l’argomentazione su cui, da sempre, gli istituti fondano i ricorsi contro gli avvisi di accertamento comunali. E’ anche l’argomentazione che non è mai riuscita a convincere la Corte di cassazione, spesso investita della questione, e persino la Corte costituzionale, che già undici anni fa aveva respinto l’eccezione di incostituzionalità rispetto all’esclusione degli IACP dall’esenzione ICI (sent. n. 113 del 28 marzo/12 aprile 1996). Sullo stesso sentiero si era poi incamminato il Ministero delle Finanze che, con circolare n. 185/E del 14 settembre 1999, aveva consigliato i Comuni di rigettare le istanze di rimborso motivate su tale presunta incostituzionalità. D’altronde, perché complicare inutilmente le cose? Il pensiero frastagliato della commissione pugliese può essere coerentemente ricostruito e utilizzato per dimostrare che l’esenzione proprio non può stare in piedi. Infatti, l’art. 7, citato dai baresi, è esplicito: gli immobili devono essere “utilizzati” dall’ente che chiede l’agevolazione. Non risulta, nemmeno in via eccezionale, che gli IACP soddisfino questa condizione sine qua non. Chi “utilizza”, infatti, sono gli inquilini. Una volta sistemato il requisito oggettivo (e già questo sarebbe sufficiente per chiudere la partita), resta quello soggettivo. Come definiamo gli istituti che oggi sono denominati Ater (Aziende territoriali per l’edilizia territoriale)? Si tratta, certo, di enti pubblici economici, il cui campo di attività si estende però ben oltre quello, invero piuttosto circoscritto, dei vecchi IACP. Infatti, le loro competenze riguardano anche: realizzazione di programmi integrati per il recupero dell'edilizia abitativa, esecuzione di opere di urbanizzazione per conto di enti pubblici, erogazione di attività di consulenza e di assistenza tecnica a favore di operatori pubblici e privati, fino a giungere alla costruzione e alla vendita di immobili a prezzi economici. Vogliamo definirla attività imprenditoriale? E definiamola. Salta, dunque, anche il secondo cardine della porticina che dà sull’esenzione. Per concludere, vorremmo citare una sentenza della C.T.P. di Rovigo 18 marzo 1998, n. 65 che, rammentando il percorso legislativo dell’imposta comunale sugli immobili, ricostruisce il ruolo degli IACP e l’impresentabilità della loro pretesa: “Il ricorrente ricorda alla Commissione che il D.L. n. 333/1992, convertito con modifiche dalla legge n. 350/1992, relativa all'imposta straordinaria sugli immobili (Isi) prevedeva specificatamente, a differenza dell'Ici, come soggetti esenti anche gli "Istituti autonomi case popolari". Vale quindi il principio ubi lex voluit dixit: se l'art. 7 del precitato D.Lgs. n. 504, a differenza della norma citata non ha inserito tra i soggetti esenti gli Iacp, vuol dire che, per una insindacabile scelta di politica legislativa, si è ritenuto di escludere, appunto, l'Ente predetto dal beneficio. E' stato, peraltro, operato un intervento legislativo per "compensare" questa scelta, per consentire la copertura delle spese amministrative e degli oneri fiscali. Si è quindi legislativamente tenuto conto degli oneri fiscali gravanti sugli allora Iacp a seguito dell'entrata in vigore della nuova imposta Ici e gli stessi, a differenza di quanto avveniva prima dell'Ici, sono andati ad incidere direttamente sull'aumento del canone di locazione degli alloggi, per cui è impensabile che gli Iacp (ora Ater) abbiano avuto un aumento di canone dai propri inquilini per pagare l'imposta e poi pretendano di non pagarla.

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