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venerdì 21 settembre 2007

Pazienza proverbiale

Ai segretari comunali, talvolta, giungono notizie di una acidità tale che mi chiedo quanto a lungo questa categoria possa continuare a svolgere il proprio ruolo con le modalità di oggi. Mi riferisco, stavolta, a una corposa decisione della Corte dei conti veneta in merito a una vicenda leggermente complicata di incarichi, denunce e dimissioni che possiamo riassumere in questo modo: un consigliere (presumo di minoranza) propone un esposto alla magistratura contabile per un debito fuori bilancio riconosciuto dall’Amministrazione. Quest’ultima, per ribattere colpo su colpo, incarica un giurista esterno alla dotazione organica con il compito di fornire adeguata consulenza. Ne sorge un giudizio amministrativo parallelo (di cui riferiamo dopo) che si chiude con la sconfitta del Sindaco e della maggioranza. Entra la Corte (dei conti) e rileva il danno erariale per le spese legali sostenute in merito a quest’ultima controversia. Ma soprattutto contesta all’amministrazione di aver voluto a tutti i costi affidare la difesa delle proprie ragioni di fronte all’esposto a un professionista esterno. Non risparmia giudizi pesanti la magistratura veneta, tacciando il Sindaco (unico soggetto ritenuto responsabile dell’affidamento, poiché firmatario dei relativi decreti) di aver agito “senza il minimo rispetto delle norme sugli incarichi esterni e in assenza dei presupposti di legge”. L’impianto della sentenza si fonda sulla considerazione che, prima bisogna dare un’occhiata alle professionalità presenti all’interno dell’ente e solo dopo aver attentamente valutato che queste non esistono si può attivare una procedure per reperirle al di fuori di esso. Cosa che qui non è neppure passata per l’anticamera del cervello al capo dell’Amministrazione, il quale ha automaticamente messo la freccia a destra, superando in velocità i funzionari e, in particolare, il segretario comunale. Quest’ultimo, poi, non ha lasciato intendere di ritenersi offeso per questa inopinata estromissione. Così, delle due l’una: o ha preferito (forte della certezza che il castello di carte del Sindaco sarebbe crollato di fronte ai diversi gradi di giudizio) attendere cinesemente sulla riva del fiume il passaggio del cadavere nemico; oppure, e all’opposto, ha deciso scientemente fin dal principio di non proporsi come autorevole consigliere per gli affari legali dell’amministrazione, lasciando il tubero bollente nelle mani del legale di turno. Quale che sia la verità, di fronte alla Corte questa resa senza combattere non è piaciuta e dalla sentenza esce una difesa d’ufficio della categoria che quasi commuove per intensità. Insomma, il Comune è provvisto di Segretario e di Vicesegretario. Vuole farci credere il Sindaco che nessuno di loro era in grado di predisporre adeguate controdeduzioni all’esposto del consigliere? Mortificante o stimolante che sia, la sentenza ribadisce (al di là della puntualizzazione formale ma pienamente legittima sulla facoltà di dare incarichi esterni solo in casi straordinari) che il ruolo cardine assegnato oggi al segretario dell’ente è proprio quello dell’assistenza giuridica agli organi di governo e di programmazione. Soprattutto quando le competenze richieste non devono integrare le astuzie di un principe del foro ma, più modestamente, l’ordinaria consapevolezza di un dirigente amministrativo. Se la precoce ritirata del segretario dalla tenzone sia stata o no volontaria, l’effetto che produce è quello di punzonare nuovamente tutta una categoria, oggi contrattualmente sul piede di guerra per ragioni più che comprensibili, ancora legata a una concezione premoderna del proprio ruolo, svuotata dalla Bassanini-bis e mai più riempita se non dai facili denari di immeritate direzioni generali. Avranno mai la forza di fare un esercizio di autocritica per impedire che scelte come quella del Sindaco si ripetano? La liceità del dubbio è rafforzata dall’esito del giudizio parallelo di cui si diceva all’inizio. Dopo che il legale esterno era stato incaricato, infatti, l’Amministrazione aveva addirittura dichiarato decaduto dalla carica il consigliere pignolo poiché sussisteva un’insanabile incompatibilità: carica elettiva e parte in causa in un giudizio contro l’amministrazione. Da cui derivava una vicenda conclusa in Corte d’appello, sempre con la sconfitta dell’amministrazione. Quindi spese legali, quindi danno erariale, quindi reprimenda della Corte dei conti. Suona tutto maledettamente inutile, se si pensa che la procedura di decadenza era sorta a seguito di un esposto alla Corte dei conti, non certo per una causa civile o penale. Eppure il segretario aveva ritenuto che il Consiglio comunale avesse correttamente seguito il protocollo per togliere di mezzo il membro indesiderato. I danni che anche a lui la Corte ha addebitato in quanto “garante della legalità e correttezza amministrativa dell'azione dell'ente locale” suonano come un ceffone al volto di una categoria alla vana ricerca di una nuova identità.

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