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lunedì 24 settembre 2007

L'amico del giaguaro

Se non ti possono licenziare, dev’essere la Pubblica amministrazione. Il gelatinoso sillogismo, ormai troppo diffuso per risultare davvero scandaloso, è emerso nuovamente a seguito di una sentenza del tribunale di Napoli, riportata con salace commento dal Lenzuolo rosa di oggi. Nella sua disarmante semplicità, la vicenda assume il valore esemplare del paradigma. Ricapitoliamo rapidamente: un dipendente dell’Agenzia delle entrate si sente in grado (funzionalmente e giuridicamente) di effettuare una transazione con un contribuente in relazione all’attribuzione di una rendita. Poiché la conciliazione ha determinato un minor introito per l’Amministrazione finanziaria, è scattato immediatamente il procedimento disciplinare a carico del carneade che, di fronte allo sconcerto e alla furia del proprio dirigente, si è trovato con le armi spuntate e, in un primo tempo, licenziato in tronco. L’inevitabile ricorso del funzionario ha determinato prima il reintegro da parte del giudice del lavoro e, da ultimo, la conferma dell’illegittimità del licenziamento da parte dei magistrati partenopei. Il quotidiano si lascia andare, con spirito giacobino, alla litania un poco frusta della pubblica amministrazione come isola felice dove gli inefficienti (in questo caso, gli insubordinati) prosperano. Non che la situazione specifica non dia adito ad amare osservazioni sullo stato dell’arte della P.A., anche perché l’ultima sentenza preferisce smorzare ogni tentativo di responsabilizzare i dipendenti e, motivando l’annullamento del licenziamento, afferma che “le oggettive manchevolezze” contestate al dipendente “non sono sue personali, ma dell’intero sistema.” Il recente e già inflazionato neologismo ‘benaltrismo’ si adatta meravigliosamente alle circostanze della controversia e alle giustificazioni addotte. Certo, con sentenze motivate così può andare a farsi benedire qualsiasi sforzo di costruire un procedimento amministrativo davvero trasparente, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a ribadire la propria estraneità all’esito di una qualsiasi istanza, scaricandone l’onere su un’indefinibile entità superiore. Però, a volte, sembra di sparare sulla Croce Rossa. Ciò che, infatti, risulta chiaro nel caso preso in esame è che il funzionario ha ecceduto nell’esercizio dei poteri che gli erano conferiti. Si è infatti arrogato il diritto di transare laddove era indispensabile lasciare il delicato compito al superiore. La censurabilità del comportamento è evidente e qualsiasi interpretazione riduttiva non farebbe che accentuarne la grossolanità. Anche perché il funzionario aveva un mandato opposto, quello di conformare la propria azione ai valori accertati dall’ufficio in precedenza, senza alcuna discrezionalità per difetto sulla determinazione della rendita. La scelta di accordarsi per un valore vantaggioso per il contribuente, dunque, è frutto di una scelta personale più che discutibile. Ma il procedimento disciplinare che ne è sorto è fondato sull’eccesso di discrezionalità oppure sul danno procurato all’erario? E’ un dubbio assolutamente realistico, perché il punto qui discusso non è (o almeno non in via principale) la mancata entrata a seguito della conciliazione, quanto piuttosto il venir meno di un rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Nei panni dell’ultra-zelante funzionario avremmo dedotto in giudizio un’argomentazione appena diversa: “Mi rendo conto dell’azzardo al quale ho esposto l’Agenzia, ma ho agito assumendo personalmente la responsabilità dell’esito finale. Ero consapevole che l’indirizzo superiore era differente da quello che ha ispirato la transazione, ma ho scelto la strada dell’accordo per ridurre i tempi della riscossione. Inoltre, non ne ho ricavato alcun beneficio personale, dunque in nessun caso potrei essere accusato di dolo. Mi chiedo, inoltre, cosa sarebbe successo se avessi preso una decisione simile (contraria alle direttive dirigenziali) ma ricavandone un risultato positivo per l’amministrazione (un gettito superiore). Con ogni probabilità sarei stato punito con severità in termini strettamente disciplinari, ma non avrei subito il licenziamento.” L’esito finale non sarebbe, con ogni probabilità, mutato di una virgola. Ma la requisitoria del pubblico ministero avrebbe avuto un punto di forza in meno e i denigratori a cottimo della P.A. non avrebbero potuto alzar troppo la voce.

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