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mercoledì 5 settembre 2007

La sopravvivenza del più adatto

Quando la Cassazione decide che è venuto il momento di seminare un po’ il panico negli uffici tributi comunali, non c’è alcuna possibilità di sfuggirle. E’ di stamane (si veda l’utile sunto apparso sullo Struzzo giallo) la notizia che, con sentenza del 20 marzo, benché depositata solo lo scorso 24 luglio, la Corte ha attribuito all’avviso di pagamento inviato dall’ente locale a titolo bonario per tassa smaltimento rifiuti autonoma impugnabilità davanti al giudice tributario, assimilandolo all’avviso di liquidazione del tributo e facendolo dunque rientrare in una delle fattispecie previste dalla legge. L’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ricordate, elenca tassativamente gli atti oggetto di ricorso tributario e, tra questi, non appare l’avviso bonario, il quale ha, tra l’altro, lo scopo di ridurre gli oneri a carico del contribuente facendogli risparmiare i diritti di notifica della cartella esattoriale. La mancata indicazione sull’avviso della possibilità di adire il giudice tributario non è certo l’esito di una scientifica valutazione comunale. Piuttosto, rientra nella buona pratica di ottenere quanto comunque dovuto senza esercitare la tanto temuta coercizione tributaria. La Corte sostiene che la definizione apposta dal comune al documento non può rilevare ai fini della sua impugnabilità, poiché questo potere è esclusivo del giudice di primo grado (la commissione tributaria provinciale), il quale solo può accertare che gli elementi contenuti nel documento integrano comunque una delle fattispecie previste dal fatidico art. 19. Eppure questo è uno dei casi in cui l’attività del comune si pone concretamente a favore del contribuente, al quale è recapitato un avviso con lo scopo essenziale di non intimidirlo. E’ una pratica che, negli ultimi anni, ha ottenuto un buon riscontro in termini di incassi. Ciascun ente può testimoniare che l’introduzione dell’avviso bonario ha comportato regolarità di versamenti alle scadenze e un ricorso limitato al contenzioso. Proprio perché ritenuti in via ordinaria come inviti a pagare, i contribuenti eventualmente recalcitranti si presentano con meno foga allo sportello per chiedere delucidazioni e trovano spesso risposta ai propri dubbi. Riconosco che non si tratta di un documento perfetto. Una miglioria che ragionevolmente potrebbe essere apportata a tali avvisi è una maggiore chiarezza nell’esposizione della superficie imponibile e della tariffazione a metro quadrato. D’altra parte, purtroppo, la formazione dei ruoli esattoriali segue una struttura del data-base i cui record sono costituiti da campi già definiti e dunque un lavoro di integrazione extra-ruolo non sarebbe, per quanto auspicabile, sforzo minore per l’ufficio comunale e per il concessionario. Il quotidiano, commentando la pronuncia, si mette nei panni del contribuente e ne paventa la maggiore confusione tributaria. Il bersaglio mi sembra fuori centro, stavolta. Con tutta la buona volontà che merita l’ammorbidimento dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, questo è un caso nel quale le conseguenze peggiori le subisce quest’ultima. Se l’avviso contenga o meno l’indicazione della possibilità di presentare ricorso, è circostanza della quale al contribuente, lasciatemelo dire, importa poco o nulla. Quali dunque le conseguenze pratiche di questa pronuncia. Quale concreto vantaggio si otterrebbe da una pratica a questo punto esclusivamente dilatoria. Se anche l’avviso è impugnabile in via autonoma, perché emetterlo in luogo della cartella esattoriale? Per l’amministrazione rappresenta in ogni caso un aggravio oneroso (il concessionario sostiene costi vivi di redazione e spedizione ineludibili). Non è prevista come obbligatoria da alcuna norma. L’ente è comunque titolato ad emettere immediatamente le cartelle. Vorrei sbagliarmi, ma se il principio ricavabile dalla sentenza dovesse ottenere la diffusione che certo merita, data l’autorevolezza del giudice, il futuro degli avvisi bonari è virtualmente segnato.

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