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martedì 28 agosto 2007

Specchio dei tempi

In tema di spesa pubblica, stiamo raccogliendo da mesi una sterminata bibliografia che, normalmente, insiste sulla leggendaria tendenza allo sperpero di risorse perpetrato da gran parte delle amministrazioni. Il confronto con la realtà dell'impresa privata è spesso impietoso, soprattutto se il termine di paragone è rappresentato dalle amministrazioni centrali, ministeri in testa. Poiché però anche gli enti locali sono frequentemente accusati di partecipare allo scempio, nel calderone indistinguibile c'è davvero spazio per tutti e basta la parola 'spesa' accoppiata con qualcosa che abbia a che fare con il settore pubblico e, immediatamente, sono sguinzagliati cani inferociti a caccia di nuovi sprechi. Che abbiano ragione o no, non fa alcuna differenza perché ormai l'associazione di idee che ciascuno fa, e alla quale siamo malinconicamente abituati, è quella tra 'settore pubblico' e 'inefficienza'. Stanchi di sentir fischiettare la stessa solfa, ci aspettiamo di quando in quando un intervento che eviti di ricalcare orme invecchiate e spinga il ragionamento un po' più in su, per selezionare le cose eventualmente da fare. Invece, si insiste a riempire colonne di piombo con materiali stantii. Torno di nuovo a bacchettare il Lenzuolo rosa perché se lo merita. Qual è, infatti, il senso di un pezzo come quello pubblicato a pagina 47 nell'edizione di ieri? Dietro il titolo tonitruante "I Comuni tornano a spendere" si nasconde, infatti, mascherato da scoop estivo, un elenco risaputo di concetti; si, insomma, una non notizia. Il tono didascalico con il quale ci vengono spiegati i contenuti del certificato al bilancio di previsione fa pensare che l'articolo sia stato commissionato per un pubblico di lettori che con gli enti locali non hanno alcun rapporto e che proseguono nella lettura affascinati dal mistero del 'welfare allargato' "al centro delle discussioni delle organizzazioni sindacali in tema di bilancio" o ancora ammaliati dal miraggio delle spese correnti "quelle classificate al titolo I del bilancio unite alle spese per il rimborso del debito al titolo III della spesa." Tutti gli altri, che si sono fiondati alle ultime pagine del dorso del lunedì, intitolato, guarda un po', 'Autonomie locali e PA', perché assetati di novità e idee, devono accontentarsi di perle quali: "Il nostro ordinamento (...) assegna al Municipio funzioni proprie e funzioni conferite (con leggi statali e regionali) (...)" oppure "In vetta alla classifica, stilata sulla base del volume di spesa, vi è il settore dei servizi alla persona e alla comunità". E se a qualche furbacchione in vena di ribattere colpo su colpo venisse in mente di affermare che le pagine dedicate agli enti locali possono ben essere lette da professionisti del tutto all'oscuro dei meccanismi della finanza pubblica, sarebbe fin troppo facile ricordare che, ogni santo giorno, si leggono nel dorso Finanza & Mercati paginate ricche della terminologia più specialistica che si possa desiderare, pressoché illeggibili a chi non abbia una laurea a Princeton, senza che il quotidiano si senta in dovere di spiegare cosa significa cosa. Lo spazio messo a disposizione dal quotidiano, però, è sufficiente per affiancare al pezzo principale un articolo di spalla che ci riporta a una dimensione meno scontata: l'invecchiamento della contabilità comunale in un mondo di esternalizzazioni diffuse. Il tema si snocciola su un percorso logico che partendo dalla presenza ormai desueta, ad esempio, delle centrali del latte tra i servizi comunali vorrebbe dimostrare la scarsa capacità informativa dei documenti ufficiali di bilancio, impediti così a rappresentare la realtà complessa delle società partecipate, assenti dalle partite in entrata e uscita. Si caldeggia l'introduzione rapida del bilancio consolidato per recuperare trasparenza e accountability. Che è come mischiare pere e mele, perché le società di capitali, benché a partecipazione pubblica più o meno intensa, agiscono in un mercato dove si seguono le regole della profittabilità, anche se con finalità di reinvestimento, e per le quali i concetti di costo e ricavo non possono essere associati con semplice automatismo all'attività pubblica. Voglio dire, cioè, che se il Comune non fornisce più determinati servizi, la spesa per essi sostenuta da soggetti partecipati privati dovrebbe essere imputata solo a questi ultimi, perché determinata con criteri esclusivamente economici che non tengono più conto della specificità territoriale. E questo sarà vero anche quando, in un momento si spera non troppo distante, la contabilità economica apparirà basilare anche nei comuni. Questo sì che è un punto cardinale, dove dovrebbe puntare costantemente l'ago della bussola di studiosi e specialisti.

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