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mercoledì 29 agosto 2007

I dinamitardi

La stampa vive di esagerazioni, da sempre. Per vendere più copie cartacee, una volta. Per aumentare gli accessi web, oggi. Se poi c'è da proporre una rettifica, si trova sempre tempo e spazio a disposizione, ma per attirare l'attenzione serve un fuoco d'artificio. Mica per niente lo chiamano quarto potere. Memori della lezione di John Ford, secondo il quale quando la leggenda si fa realtà, è sempre la prima a dover essere stampata, quelli della Cgia di Mestre ci riprovano. Ecco dunque la clamorosa bomba da prima pagina: "Fisco, boom delle tasse locali: aumento dell'111% - Siamo di fronte al boom delle tasse locali. L'allarme arriva dall'Ufficio Studi della Cgia di Mestre che ha dimostrato come dal 1995 al 2006, le entrate fiscali degli enti locali sono passate da 37.699,04 milioni di euro a 95.911 milioni di euro: un aumento in percentuale del 111%. L'amministrazione centrale, invece, ha incrementato le entrate del 12,1%." L'incremento in questione va calcolato a euro costanti, cioè depurato dall'inflazione nel frattempo verificatasi. Resta la tremenda realtà di questo triplo uno sbattuto in prima pagina a beneficio del censore di turno. Ci stiamo un po' stufando di questa faciloneria ipocrita che raccoglie i dati a disposizione, li frulla per pochi secondi senza zucchero e ne estrae un beverone adatto solo agli stomaci meno delicati, le bocche buone dell’informazione un tanto a parola. Il nervosismo cresce in proporzione alla scarsità, in questa come in mille altre indagini analoghe, di analisi, o meglio, alla chiara intenzione di offrire un'interpretazione mirata della realtà, ignorando alcuni dati e utilizzandone altri, funzionali alla tesi esposta. Quando il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, afferma che durante gli "ultimi anni soprattutto i Comuni hanno assunto un gran numero di nuove competenze e di nuove funzioni, senza ricevere in cambio un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi. La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente creando non pochi problemi di bilancio a tante piccole realtà amministrative locali che si sono 'difese' aumentando le imposte locali", dice una mezza verità. Correttamente, si premette che l’attività dei Comuni si è ampliata negli anni e che la rideterminazione dei trasferimenti erariali si è verificata al ribasso, centellinando i tagli ma operandoli costantemente, erodendo una base di risorse certe sulla quale gli enti facevano conto per far quadrare l’equilibrio di parte corrente. La conseguenza è stata la progressiva tendenza a compensare con tributi propri ciò che non arrivava dal centro. Arrivati a questo punto, però, si dovrebbe fornire ai propri lettori un chiarimento chiave. Che Bortolussi ne sia consapevole oppure no (se non lo fosse, a preoccuparsi dovrebbero essere soprattutto gli imprenditori associati alla Cgia), nella definizione operativa vigente di ‘tributi locali’ rientra la quota di compartecipazione all'IRPEF assegnata ai Comuni dallo Stato, benché erogata come fosse un trasferimento corrente qualsiasi. Poiché, inoltre, l'accento è marcato sulla differenza tra questo incremento e quello corrispondente a livello statale, val la pena sottolineare che proprio questa entrata appare contemporaneamente nei bilanci nazionali e locali, ma è propria solo dei primi. Si tratta di un'entrata sulla quale non abbiamo la benché minima discrezionalità di manovra e la cui entità ci viene comunicata insieme agli altri trasferimenti dello Stato. Visto che si discute di somme che da sole rappresentano tra il 30 e il 40 per cento degli accertamenti del titolo I, vien facile ridimensionare il timor panico della Cgia e discutere più serenamente del peso della fiscalità locale, del quale nessuno intende disconoscere la recrudescenza negli ultimi anni. Anche perché ai mestrini gli argomenti non mancano. Da un lato, si richiama l’uso non necessariamente ortodosso fatto delle risorse tributarie, con ridotta o poco qualificata erogazione di servizi. Dall’altro, si fa leva sul federalismo fiscale per sostenere che i Comuni dovrebbero avere più autonomia nella gestione delle risorse di propria competenza. Temi seri ai quali farebbe bene una dose più accurata di onestà intellettuale.

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