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lunedì 16 luglio 2007

Vidocq

Stando alle stime di ANCI, sotto la cenere del decreto sul decentramento catastale coverebbe un fuoco di ICI evasa da far tremar le vene e i polsi. I dati riportati dal Lenzuolo rosa dicono che c'è una base imponibile non ancora emersa tale da far prevedere un maggior gettito di ben 362 milioni di euro all'anno. Trattandosi di un dato ottenuto, presumo, applicando l'aliquota media nazionale, siamo in presenza di un importo ulteriormente incrementabile. E già fermandosi qui ci sarebbe da riflettere. Soprattutto perché questo recupero sarebbe certamente esteso alle annualità arretrate ancora accertabili, moltiplicando dunque gli effetti positivi del provvedimento. Ma come si arriva a questa cifra esorbitante? Più dell'80% del maggior gettito deriverebbe da un'unica voce: evasione totale sulle aree fabbricabili. Il riclassamento delle unità immobiliari finora appartenute alla categoria A5 (le abitazioni di tipo 'ultrapopolare'), ora abolita, frutterebbe circa 50 milioni di euro. Altri 16,5 milioni si recupererebbero dal puro aggiornamento delle banche dati (dalle quali dovrebbero emergere cespiti accatastati ma mai denunciati ai fini ICI). Il restante milione e un quarto, spiccioli di tributo, arriverebbe dalla messa a regime di un sistema di classamento che, gestito direttamente dallo stesso ufficio amministrativo che rilascia il permesso di costruire, sarebbe più rapido e più preciso nel concludere l'iter rispetto al Catasto di derivazione risorgimentale. Quest'ultimo aspetto è frutto di un ottimismo forse eccessivo e, in ogni caso, prematuro. Infatti, prima di poter assistere ad una piena presa in carico dell'attività censuaria sarà indispensabile attendere qualche anno. Le tre opzioni attualmente disponibili sono teoricamente ben distribuite, offrendo cioè agli enti la gamma di opportunità che gli stessi sono in grado di cogliere. Non ci si dovrebbe però stupire se, nella prima fase, la scelta dovesse cadere sulla opzione meno impegnativa, quella cioè che prevede l'offerta del servizio di consultazione, l'aggiornamento della banca dati con variazioni relativamente significative e la riscossione dei tributi catastali (trattenendone una percentuale variabile tra il 5 e il 15%). Certamente la prospettiva è di elevato interesse, se non altro perché pone l'accento sulla centralità del patrimonio immobiliare nel sistema tributario degli enti locali. Idealmente risulta altamente improbabile che, dopo aver ceduto progressivamente le funzioni di controllo e certificazione, il legislatore opti per un'organizzazione fiscale decentrata che non preveda l'ICI. Al di là delle considerazioni comparative con altri Paesi dell'Unione europea come Francia, Gran Bretagna e Germania, dove il gettito delle imposte patrimoniali costituisce l'ossatura centrale della fiscalità locale (anche se non sono possibili confronti diretti con l'ICI italiana), l'attribuzione ai comuni di una parte significativa della filiera immobiliare avrebbe come principale risvolto la loro responsabilizzazione sul versante dell'equità fiscale complessiva, togliendo l'alibi dello scaricabarile sulle rendite attribuite dal Catasto. Sul tappeto però c'è, sensatamente, l'obiezione che la proprietà immobiliare è distribuita in modo disomogeneo sul territorio nazionale; pertanto si creerebbe una frattura tra comuni 'ricchi' e 'poveri'. Va anche detto che già oggi la struttura di bilancio nei comuni meno dotati prevede una perequazione contributiva dall'Erario che compensa, almeno in parte, la deficienza patrimoniale. Un'ultima osservazione andrebbe fatta sulla sproporzionata dimensione dell'evasione presunta sulle aree fabbricabili. Quei 295 milioni di euro l'anno sono attendibili? Mentre per i fabbricati abbiamo a che fare con valori attribuibili all'interno di un range dal quale ci si può discostare ma con giudizio, le aree fabbricabili rappresentano delle vere e proprie sabbie mobili. E' pur vero che la legislazione vigente cerca di attribuire un vantaggio assoluto all'ente, facendo riferimento alla sola approvazione dello strumento urbanistico per determinare l'edificabilità di un'area. Ma la giurisprudenza ha preso di recente una piega diversa: aspettiamoci un pronunciamento della Consulta che potrebbe, in caso di incostituzionalità, creare decisivi problemi in ordine alla valutazione delle aree. 295 milioni? Mi accontenterei della metà.

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