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lunedì 30 luglio 2007

Scende la pioggia

'City manager' è un'espressione parecchio chic, ma come sempre assolutamente ridondante per la lingua italiana, che preferirebbe fosse usato il più corretto 'Direttore generale'. A dirla tutta, però, sono dell'idea che anche la funzione (in qualsiasi lingua) di questa figura un po' misteriosa sia in qualche modo superflua. Certamente non lo è per chi è riuscito a ottenere un lucroso contratto dall'amministrazione meglio offerente. E non sto qui a discutere sui metodi scelti per l'assunzione del candidato più idoneo (perché non è un dipendente e perché, in ogni caso, la legge non prevede una modalità di selezione specifica). La superfluità di cui dicevo prima sta tutta nella consapevolezza del legislatore: 1) che ai Comuni, specie quelli di ragguardevoli dimensioni, serve una guida gestionale di impronta privatistica; 2) che in nessun Comune questo ruolo può essere svolto automaticamente dal dipendente gerarchicamente più elevato, il segretario. Quest'ultima ipotesi diventa certezza nel momento in cui, al cambio di amministrazione, si nota un movimento tellurico altrimenti assente: la versione italiana dello spoil system, molto casereccia e poco seria. Mi sembra emerga qui una patente contraddizione che a nessuno per ora interessa rimuovere. Da un lato, la nuda figura del Segretario, così come è concepita dalla vigente normativa, possiede un'esclusiva valenza di consulenza legale: pagata a tariffe fuori media e senza alcuna assunzione di responsabilità diretta, una volta eliminato il parere di legittimità sugli atti deliberativi. Dall'altro, il Direttore generale svolge compiti di coordinamento e di, appunto, direzione che una volta erano appannaggio proprio dei segretari, con la differenza che questi ultimi non potevano strappare contratti principeschi come alcuni noti D.G. (per un elenco non esaustivo si veda il Lenzuolo rosa di oggi). Se poi aggiungiamo al quadro la figura camaleontica del Segretario-Direttore generale (nei Comuni più vulnerabili), si comprende come l'attuale schizofrenia degli incarichi impedisca di vedere chiaro negli organigrammi comunali. Il 'chi fa cosa', infatti, non discende automaticamente dal ruolo ricoperto. Nei comuni piccoli la legittimità della gestione è garantita dai responsabili di servizio, gli unici che offrono un parere tecnico obbligatorio e vincolante verso l'esterno (comprendendo anche l'attestazione di copertura finanziaria): che senso ha allora affidare la direzione generale al Segretario? Nei comuni sopra i 15.000 abitanti il Direttore generale viene incaricato dal Sindaco e resta in carica al massimo fino alla conclusione del mandato amministrativo, con l'incarico di portare a termine il programma della maggioranza, ma non sottoscrive alcun parere vincolante e risponde (a parte l'eventuale piano penale) solo in via gestionale: se non fa quello che è stato pagato per fare (che non vuol dire necessariamente amministrare bene) va a casa, ma, in punto di legittimità, ha le mani sostanzialmente libere. Per riportare a un grado minimo di comprensibilità l'intera situazione, servirebbe: un ricambio più rapido dei segretari comunali, favorendo l'ingresso di menti fresche e poco burocratizzate (ma molto preparate), coprendo le troppe sedi vacanti e incentivando ulteriormente le convenzioni tra enti molto piccoli; limitare la facoltà di assumere un direttore generale ai comuni al di sopra dei 50.000 abitanti, soglia oltre la quale i dirigenti di settore possono utilmente essere coordinati da un manager probabilmente più esperto, ma assegnandogli corrispondenti responsabilità amministrative; eliminare in questi enti la figura del segretario, in quei casi realmente anacronistica.

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