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giovedì 19 luglio 2007

In mare aperto

Tutti soddisfatti, dunque. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in primis, che ha chiesto e ottenuto dopo l'ultima Finanziaria una sorveglianza più accurata sulle operazioni di finanza derivata effettuate dagli enti locali. Ricordate la circolare dello scorso 31 gennaio che, con la scusa di spiegare le nuove opportunità offerte in materia dalla legge, istruiva doviziosamente gli enti a comunicare in anticipo la volontà di concludere contratti di swap, pena la loro inefficacia erga omnes. Non solo, si paventava la chiamata in causa della magistratura contabile per gli enti inadempienti e si sottoponeva la bontà dei contratti in conclusione all'avallo di autorevoli società di rating. Un sistema, certo, garantista all'ennesima potenza che, stando ai dati ufficiali ora resi pubblici avrebbe migliorato, e di parecchio, il grado di serietà dei contratti di finanza derivata stipulati da Comuni, Province e Regioni. In generale, infatti, sono pochissime le posizioni dubbie segnalate alla Corte dei conti e alla Ragioneria generale dello Stato (si parla di dieci), a fronte di una vera e propria pioggia di comunicazioni, nate appunto dall'obbligo vincolante sopra ricordato. Così, la soddisfazione si estende agli istituti di credito che possono continuare a proporsi come interlocutori privilegiati per gli enti interessati a questo tipo di operazioni. La questione infatti è, almeno sotto lo stretto profilo della logica, perlomeno traballante. Si sostiene con tenacia da più parti la necessità di fissare una volta per tutte criteri di trasparenza nella gestione contabile degli enti locali, richiamandosi soprattutto alla linearità della contabilità economica come definitivo sistema da adottare in luogo dell'ormai obsoleta (e pericolosa) contabilità finanziaria basata sul bilancio autorizzatorio. E' una battaglia da combattere senz'altro, benché sia facile pronosticare una lunga stagione in trincea, conoscendo la ritrosia della burocrazia in generale ad autoriformarsi. Ma che, infine, la si vinca o no, è questa comunque la tenzone da appoggiare. Per contro, le stesse norme che già ora mettono paletti di consistenza variabile alla capacità di indebitamento degli enti (passata rapidamente dal 25% al 12% e poi ancora al 15% nel giro di un paio d'anni), prima autorizzano i derivati e poi, accorgendosi che probabilmente la situazione può sfuggire di mano (Taranto come caso di scuola, ma non come mosca bianca), li costringono in precisi ambiti per limitare i potenziali danni alla finanza pubblica. Lo scopo è commendevole, certo. Ma, in primo luogo, cosa sono i derivati se non prodotti finanziari comunque dal profilo rischioso? I vincoli prudenziali del Ministero sono benvenuti per impedire il formarsi di posizioni al limite del crac. E' però quasi comico prendersela con gli enti locali, quasi che la finanza derivata se la siano inventata loro. Anzi, è proprio la verifica sul campo che i contratti stipulati sono in regola a garantire maggiormente l'intero sistema contro l'eventualità di un default del debito. Quando il Commissario liquidatore di Taranto precisa che gli istituti di credito con i quali il Comune ha stipulato contratti derivati non sono creditori privilegiati perché i derivati non sono debito (e quindi non sono coperti dalle delegazioni di pagamento ordinariamente richieste nel caso di prestiti pluriennali) addossa agli stessi istituti la responsabilità di verificare a priori che gli enti con i quali trattano non siano a rischio, ma allo stesso tempo li diffida dall'accettare, come accaduto, delegazioni di pagamento che non valgono nulla, esponendoli ad un possibile buco. La tendenza a utilizzare strumenti così sofisticati ha un'unica, evidente, ragione per gli enti: fare cassa rapidamente con le somme versate up-front, cercando di approfittare di periodi di tassi d'interesse moderati, per lucrare sulle differenze con i tassi fissi dei mutui in ammortamento. Siccome questi spread sono sempre meno evidenti, vista anche la posizione strenuamente restrittiva della BCE, la convenienza è ridotta al lumicino e, in futuro, la quantità di contratti conclusi prevedibilmente si ridurrà. Oggi ci chiediamo se, invece, non sia il caso di interrompere il corto circuito un po' perverso che contempla allo stesso tempo: facoltà teorica di indebitarsi a causa di una percentuale limite molto alta (15%), impossibilità pratica a indebitarsi a causa del Patto di stabilità, facoltà di rinegoziare il proprio debito con la Cassa DD.PP. sborsando penali esosissime, ricorso alla finanza derivata per recuperare almeno in parte la liquidità così evaporata.

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