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venerdì 6 luglio 2007

Conferito gravemente

Che dilemma! Proporre agli enti una sempre più intensiva esternalizzazione delle proprie attività, attraverso, in particolare, la costituzione di società di capitali 'ad hoc'; oppure ragionare in termini autarchici e adoperarsi per un più stringente controllo interno di gestione. Il lavoro dei consulenti di buon livello degli enti locali si dibatte da tempo sul percorso da seguire per, ragionevolmente, giungere a un livello ottimale di rapporto risorse impiegate/servizi offerti. L'alternativa parrebbe risolvibile in poche battute, a favore naturalmente della soluzione più in voga. L'odierno numero dello Struzzo giallo riporta una sorta di peana alle esternalizzazioni, in un intervento che elenca le magnifiche sorti e progressive delle società a maggioranza o totalità di capitale pubblico. Poiché il dubbio non pare sfiorare l'autore, che scrupolosamente premette la critica più frequente a questa tendenza privatistica delle pubbliche amministrazioni locali (l'accusa di porre in essere un elemento di turbativa o comunque di provocare indesiderate distorsioni della libera concorrenza), cerchiamo di verificare almeno la sostenibilità di talune stentoree affermazioni. Primo punto: flessibilità di gestione e risparmi di spesa. Si indica nella via privatistica un modo sicuro per superare le rigidità della P.A. e assicurare decisioni manageriali rapide ed efficienti. Ma è un po' come dire che tutte le società private sono per definizione in grado di operare ottimizzando i tempi stagnanti. In mancanza di una dimostrazione del teorema qui sottinteso, ci accontenteremmo di sentire dire che probabilmente il privato è più efficiente del pubblico. Mi viene in mente però la recentissima esperienza da queste parti (l'industrioso nord) di una Spa nata per la gestione del servizio idrico integrato, a totale capitale pubblico. Il mio comune ha acquisito una partecipazione nella costituenda società nell'estate del 2006. La società ha iniziato a gestire il servizio per il 15% dei comuni soci lo scorso 1° luglio. Non sono proprio certo che si tratti di un esempio di scuola in termini di celerità efficientista. Secondo e terzo punto: vantaggi sotto il profilo dell'indebitamento. Si tratterebbe contemporaneamente di beneficiare di una maggiore capacità di indebitamento (attraverso la costituzione di diritti reali sui beni immobili conferiti) per la realizzazione anche di opere pubbliche e, allo stesso tempo, di ridurre la rigidità del bilancio corrente, schiacciato dagli interessi passivi e dalle quote capitale. In effetti l'eccessiva disinvoltura con la quale si sfrutta la capacità teorica di indebitamento è un rischio che può trovare adeguato sollievo nella forma societaria. Ma qui, semplicemente, si elude il problema. In assenza di bilanci consolidati, ci credo che gli enti risultano meno in sofferenza. Peccato che il capitale investito nelle società dai comuni le renda a tutti gli effetti parte di un unico sistema economico-patrimoniale, con le conseguenze del caso. Quarto punto: Patto di stabilità quasi sicuramente rispettato. Identica obiezione del punto precedente, con l'aggravante che in questo caso si approfitta abilmente ma scientemente della assenza di una normativa cogente, e nonostante la posizione giustamente prudenziale della Corte dei conti che, dal suo canto, non può peraltro fare di più che sollecitare una verifica congiunta dei dati dell'ente e delle partecipate al fine di verificare il rispetto del patto (con tutti i limiti più volte espressi in queste pagine sul meccanismo dei parametri di Maastricht). Quinto punto: vantaggi fiscali assicurati. L'IVA sugli acquisti può essere scaricata con maggiore frequenza, trattandosi di società commerciali. Inoltre, si dice, vi sarebbero vantaggi anche sotto il profilo dell'IRAP. A parte che nessuno obbliga l'ente locale ad utilizzare il metodo retributivo per pagare quest'ultima, non è matematicamente dimostrabile che l'aliquota più bassa faccia di sicuro pagare di meno: gli imponibili nei due casi sono calcolati in modo completamente diverso. Aggiungerei, inoltre, che la possibile esenzione da imposta di registro è stata esclusa dall'Agenzia delle entrate quando il trasferimento di proprietà degli immobili conferiti è avvenuto a distanza di tempo eccessiva rispetto all'originaria costituzione della società, configurandosi in tal modo come un'operazione commerciale ordinaria. Sesto e ultimo punto: sviluppo del territorio e della comunità locale. Qui non vengono neppure offerti argomenti a favore. Trattasi di un vantaggio esclusivamente dichiarato sulla carta, e sulla fiducia. Gli anglo-sassoni lo chiamano wishful thinking. In Italia, tutto dipende da chi governa l'ente. L'idea di interesse generale è ancora troppo audace.

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