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lunedì 23 luglio 2007

Casta diva

Da quando "La casta" è diventato il manuale del perfetto demagogo, i costi della politica occupano un numero di colonne di giornale crescente in modo quasi esponenziale. Non che non se ne sentisse il bisogno: quando si legge che il Parlamento italiano costa dieci volte quello spagnolo, quando ci informano che un pasto al ristorante della Camera costa al deputato 9 miseri euro (e si tratta ovviamente di un pranzo a quattro stelle) mentre ai comuni mortali, per lo stesso menù, uno chef di buon livello ne farebbe sborsare non meno di novanta, si ha l'immediata sensazione che il tesoretto vero stia da qualche altra parte, e lo stiano già spendendo senza renderne conto a nessuno. Resta però il vago sospetto che il fragore con cui nella credenza dei politici nostrani cascano da qualche mese i piatti più pregiati sia direttamente proporzionale al polverone che contemporaneamente copre le esigenze di modernità più vere e determinanti per competere con il resto d'Europa. E a questo nasconderello giocano tutte le parti in causa: quelle che di politica vivono come quelle che (forse anche un po' preda d'invidia) deprecano lo scialacquare di pubblici denari. Un esempio di questo dualismo si trova nella recente polemica sulla riduzione del numero delle sedi periferiche della Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali. Nel disegno di legge che contempla il risparmio come virtù istituzionale, infatti, è stata inserita una norma che prevede il taglio di tutte le sedi regionali dell'Agenzia sostituendole con tre macro-sedi (Nord, Centro e Sud): una mannaia che immediatamente ha suscitato reazioni scomposte. Da un lato, chi non comprende questa mossa draconiana sostiene che la funzione principale delle sedi regionali è quella di garantire che la procedura per la copertura delle sedi di segreteria vacanti sia espletata in modo corretto. Eliminare improvvisamente questi baluardi di legittimità significherebbe avallare una sorta di far-west delle nomine, perché non ci sarebbe personale a sufficienza per seguirne l'iter dappertutto. Al contrario di chi, invece, ritiene assolutamente superfluo mantenere in vita tutte le strutture esistenti, bastandone tre per garantire il servizio a cui è tenuta l'Agenzia. Che la tesi catastrofista dei primi sia appena pelosa lo dimostrano alcune dichiarazioni neanche troppo velate di alcuni esponenti di categoria. Ad esempio, l'appena nominato vice-direttore dell'Agenzia si lamenta del fatto che questi tagli potrebbero vanificare l'esito delle elezioni appena tenute per il rinnovo dei consigli di amministrazione delle sedi regionali. Ben distante dunque da qualsiasi preoccupazione istituzionale. Quanto poi al merito delle critiche, l'impressione è che la lobby che finora ha spalleggiato in Parlamento i segretari senta il fiato sul collo. E tra mancati rinnovi contrattuali e incertezza sul complessivo futuro della categoria (su cui pesa la testardaggine a voler considerare questa figura come essenziale impedendone però un vero ricambio generazionale e di cultura), il rimaneggiamento dei consigli d'amministrazione sembra proprio questione di lana caprina.

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