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venerdì 13 luglio 2007

Ai materassi

Da Palermo giunge una notizia doppiamente significativa sul versante della pressione tributaria locale. Pare che l'ultima sfornata di cartelle esattoriali riguardanti la TARSU abbia comportato per l'utente medio un aggravio di non meno del 50% rispetto al precedente ruolo. Immagino le fronti imperlate di sudore degli addetti all'ufficio tributi, ovviamente non per il caldo. E temo che allungare gli orari di apertura non sarà sufficiente a ridurre l'affollamento davanti agli sportelli, sperando almeno di riuscire far rispettare la fila. Certo, dipende dal valore assoluto di quelle cartelle, che fino all'anno scorso potevano essere di importi quasi irrisori, oggi finalmente adeguati. E però resta la scelta di introdurre uno 'scalone' tributario probabilmente senza preventiva e cauta informazione. Dalla vicenda, e arrivo al punto che qui interessa, emergono, in ogni caso, almeno un paio di considerazioni di carattere generale. La prima è che, al di là delle colorite cronache locali, probabilmente abbondanti in facile ironia sulla rapidità con la quale un'amministrazione, subito dopo il rinnovo di un mandato elettorale, aumenta le aliquote e le tariffe dei propri tributi, un incremento così pesante e repentino delle tariffe è il risultato di anni nei quali il tasso di copertura è stato ben al di sotto del minimo consentito. Ora, non mi risulta che la specialità dello statuto siciliano abbia anche autorizzato il Consiglio regionale a modellare la tassa in modo differente dal resto d'Italia. Esiste, è vero, una legge siciliana del 2001 che, a differenza del resto delle regioni, pone a carico degli enti locali l'onere della TARSU sui locali occupati da scuole di ogni ordine e grado (ignorando la consolidata giurisprudenza di opinione evidentemente contraria). Peraltro, in questo ultimo caso, si tratta di una scelta che estende la nozione di soggetto passivo, non incidendo sulle modalità di applicazione della tassa. E dunque, per anni, il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti è stato fornito a titolo quasi gratuito ai cittadini palermitani. Quando qualcuno si riempie la bocca di 'federalismo' dovrebbe fare più attenzione a notizie come questa, che mortificano la capacità gestionale della maggior parte degli enti i quali, consapevoli dell'onerosità del servizio, lavorano per incrementare la percentuale di differenziazione a scapito dello smaltimento selvaggio. Se improvvisamente le tariffe a metro quadro schizzano alle stelle non è però (azzardo) a causa di un rinnovato sentimento ecologista, ma più semplicemente a causa dell'inesorabile avvicinarsi dell'ora del passaggio delle consegne tra gestione comunale e gestione alle ATO, decisa dal Codice dell'Ambiente dello scorso anno e non ancora operativa, ma non per molto. Questo salto di qualità implica, come si sa, l'integrale copertura dei costi con il prelievo tariffario. Dunque, basta privilegi, ma solo perché si ha il fiato sul collo.
La seconda considerazione è che, appunto, in una città di quasi settecentomila abitanti non si è riusciti, fino ad oggi, a introdurre la Tariffa Ronchi. Diciamo fino al 2006, perché la Finanziaria 2007 ha congelato tutti gli eventuali passaggi da tassa a tariffa in attesa del trasferimento di competenze alle ATO. Certo che, a dimostrazione di quanto detto prima sul tasso di copertura, il caso-Palermo rientra sorprendentemente tra quelli previsti dall'art. 11, c. 1, lett. c), D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158: "1. Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima cosi articolata: (...) c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; (...)". Tutto si tiene, dicono in Francia. Qui, l'ironia sta nel fatto che, comunque, il maggior costo del servizio è risultato a carico dei palermitani. E forse, nel frattempo, il servizio non è neppure migliorato...

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