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sabato 16 giugno 2007

Area di rigore

Nella colonna domenicale prenotata dal Prof. Enrico De Mita sul Lenzuolo rosa si dibattono periodicamente temi caldi intorno al sistema tributario italiano, con la consapevolezza che nulla è più instabile della fiscalità nazionale, in balia com'è di ministri in successione, giurisprudenza cangiante e interpretazioni prepotenti. Così, quando la settimana scorsa è apparso un pezzo dedicato alle aree fabbricabili e all'ICI (ma non solo) non ci siamo stupiti di leggere, nell'ormai nota prosa algida e sintetica, che è venuto il momento di venire a patti con l'incostituzionalità della definizione legislativa delle aree in questione. Nasce tutto da una pronuncia della Commissione tributaria regionale del Lazio che ha scelto di trasferire il problema sulle larghe spalle della Consulta, chiarendo che la sua posizione è netta: un qualsiasi terreno inserito da un piano regolatore (o da un altro strumento urbanistico generale) tra quelli suscettibili di edificabilità non può, per ciò stesso, essere considerato edificabile prima che quello strumento sia attuato (attraverso, ad esempio, un piano di lottizzazione). Forzando, ma non troppo secondo la logica giuridica della CTR, la mano dell'interpretazione, sarebbe addirittura necessario attendere la specifica concessione di edificare rilasciata dal competente ufficio tecnico. Per questo motivo, la Commissione ha sollevato questione di incostituzionalità per violazione, in particolare, del fatidico art. 53 che, a memoria di studente di diritto tributario, rappresenta una sorta di totem al quale portare devozione eterna. La capacità contributiva, infatti, è uno dei principi più importanti introdotti dalla Carta del 1948, ma è anche quello che più raramente viene applicato quando si tratta di stendere una parvenza di politica delle entrate. Di fatto, si vuole far cadere, con questa richiesta, l'impianto infine realizzato dal legislatore che ha preferito connotare le aree come fabbricabili in potenza, prima ancora che sia attuato qualsiasi strumento urbanistico. Così, nel recente D.L. 223/2006 (art. 36, c. 2) si stabilisce senza equivoci che: "un'area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo." D'altronde, per i giudici romani, l'edificabilità non può essere un concetto astratto ma dev'essere concretamente attuabile (il valore di un'area fabbricabile determinato a fini ICI è quello venale in comune commercio, quindi quello realizzabile in un'effettiva transazione commerciale) e ciò avviene solo quando il titolare del diritto reale può realizzare la costruzione che ha richiesto e che ha caratteristiche definite e verificabili. Indubbiamente, questa posizione mette in crisi (qualora sia accolta dalla Corte costituzionale) una importante quota di gettito derivante dall'ICI. Come spesso accade, dunque, la norma interpretativa sceglie un indirizzo senza verificarne la tenuta giurisprudenziale. E la magistratura, prima o poi, entra in rotta di collisione con il legislatore, facendone emergere le fragili fondamenta. Tra qualche mese (se siamo fortunati) avremo una prima indicazione. Come devono comportarsi, ora, i Comuni? In attesa di precisazioni dall'alto, la norma giuridica esplica il suo pieno valore. Fin che dura.

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