Pare che il problema stia tutto nelle convenzioni. Si, insomma, se la strada per l'efficienza del sistema enti locali è ancora piena di buche, una porzione rispettabile di responsabilità la dobbiamo attribuire a quei sindaci che si ostinano a stipulare accordi tra loro per gestire il tempo di lavoro di un unico segretario. I dati starebbero lì a dimostrarlo: Su poco più di 8.200 enti, infatti, le convenzioni riguarderebbero niente meno che 5.259 comuni, due su tre, insomma. Quello che i dati citati non possono dire è, ovvio, quante di queste convenzioni sono nate dall'esigenza di razionalizzare le risorse finanziarie disponibili, a costo di avere una presenza saltuaria del segretario e quante invece hanno origine dal malcelato fastidio degli amministratori in generale per la figura professionale del segretario comunale. Facciamo l'ipotesi che tutte ricadano nel primo caso. E non vedo perché ci si debba stupire se fosse davvero così. Sappiamo infatti che i comuni italiani, specie al centro-nord, sono di piccole dimensioni (e guarda caso proprio nello stesso ambito geografico troviamo la maggiore concentrazione di convenzioni). Quale convenienza può derivare dallo stipendiare un dirigente a tempo pieno che, dopo l'avvento dei responsabili dei servizi, è responsabile esclusivamente del personale? Molto più opportuno, quindi, ripartire l'orario di lavoro del segretario tra più enti, senza che ciò rappresenti un salto nel buio. Anche nell'eventualità che il segretario (il quale, per inciso, dovrebbe timbrare il fantomatico cartellino, come qualsiasi altro dipendente, ma alzi la mano chi ha mai assistito a un tale evento) presti servizio per trentasei ore e stabilendo una media di tre comuni in convenzione, abbiamo comunque una presenza settimanale di dodici ore. Vi sembrano oggettivamente poche? Non lo sono se l'organizzazione complessiva dell'ente è normalmente efficiente. Sospettiamo, inoltre, che se non lo fosse non basterebbe la presenza a tempo pieno del segretario per invertire il trend di scarsa virtuosità. Ma questo è un discorso differente. Inevitabilmente il fulcro dell'azione amministrativa sta da un'altra parte. L'abbiamo detto: la gestione del programma di governo è affidata ai responsabili dei servizi, dunque è a loro che (ricordiamo, infatti, che le posizioni organizzative sono attribuite dal Sindaco e dallo stesso revocate) l'esecutivo assegna le risorse per la realizzazione degli obiettivi. Volutamente non ho fin qui introdotto l'elemento che funge da vero discrimine in questa finta polemica: l'ombra dell'incarico di direttore generale. Poiché nei comuni sotto i 15.000 abitanti tale figura può essere rappresentata dal segretario, non poche sono le vecchie volpi che, forti di un buon ascendente sul rispettivo sindaco, riescono a ottenere un surplus di retribuzione. La contropartita, indubbiamente, è un aumento sostanzioso di responsabilità gestionale, ma sappiamo bene che un buon segretario non equivale necessariamente a un buon d.g. Figuriamoci, dunque, un segretario così così. Il panorama nazionale si sta riempiendo di fattispecie giuridiche che chiedono quasi obbligatoriamente l'unione operativa di più enti (il pensiero cade naturalmente sulla recentissima vicenda delle funzioni catastali). Perché dunque ci si scandalizza della quantità di sedi di segreteria vacanti? Avanzo un dubbio: che il vero pomo della discordia stia tutto nello scarso ricambio dell'intera categoria, pochissimo intenzionata a rimettersi davvero in gioco e desiderosa di lasciare la poltrona il più tardi possibile, dopo aver abbondantemente fatto cassa. Honi soit....
lunedì 16 aprile 2007
Nel pozzo di San Patrizio
Pubblicato da Massimo Monteverdi alle 20:25
Categorie: Convenzioni di segreteria, Responsabili dei servizi, Segretari comunali e provinciali
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