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sabato 14 aprile 2007

La competenza dell'amministratore

E' inevitabile per la pubblica amministrazione il ricorso alla contabilità finanziaria? Il quesito è tutt'altro che peregrino alla luce della costante ambiguità che circonda la chiarezza e la trasparenza dei bilanci pubblici. Limitiamoci a quelli degli enti locali. E' comune esperienza quella di consiglieri e più in generale di amministratori che lamentano l'illeggibilità dei documenti a loro disposizione, in sede di programmazione e, ancora di più, in sede di rendicontazione. Non mi soffermo, naturalmente, sul fatto che chi fa queste osservazioni, con tutta probabilità, non è in grado di leggere neppure un bilancio di un'impresa privata. Credo invece che la puntualizzazione sia ragionevole e meriti uno sforzo per trovare adeguate soluzioni. Chi, infatti, non è completamente a digiuno dei meccanismi contabili in generale, trova estreme complicazioni nell'interpretare un sistema che privilegia le rilevazioni finanziarie a quelle economiche e nel quale il criterio di competenza economica è ancora residuale. Giuseppe Farneti osserva, a quest'ultimo proposito, in un recentissimo intervento sulle pagine dello Struzzo giallo che la compilazione del cosiddetto prospetto di conciliazione (sorta di ponte tra le due distinte contabilità) è stato vissuto sinora come mero obbligo amministrativo, un meccanico adempimento da aggiungere ai molti altri che non produce l'effetto sperato di aumentare la capacità informativa dei documenti ufficiali. Come dargli torto? Nell'avvicinarci al prospetto in realtà già sappiamo che il lavoro di rettifica delle scritture di fine esercizio rappresenterà un esercizio da svolgere frettolosamente, non l'esito di un processo lungo tutto l'esercizio e regolarmente aggiornato ogni volta che si registra un impegno o un accertamento. Il legislatore, sino ad oggi, si è preoccupato solo di aggiungere all'esistente sistema qualche timido elemento di contabilità economica, addirittura rimandandone in continuazione l'obbligo di introduzione. Al massimo, si propongono tentativi (pochissimo convinti) di introduzione generalizzata senza chiarire però quale sia il vero obiettivo finale. Il sistema contabile degli enti locali ha bisogno di norme chiare, non di nuove commissioni che se ne inventano di nuove da sovrapporre a quelle già esistenti. Anche perché quelle esistenti sono dedicate esclusivamente alla rendicontazione. Sul bilancio di previsione nessun lavoro può essere effettuato, restando in tutto e per tutto un documento autorizzatorio, ben lontano dunque da qualsiasi prospettiva di analisi di costi e ricavi. Così anche lo sforzo operato dall'Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali di aprire le porte ai principi contabili nella pubblica amministrazione non è stato sufficientemente ripagato in termini di diffusione. Finché la loro introduzione resta confinata alla buona volontà del singolo ente locale, nessuna rivoluzione culturale è possibile. D'altronde, è anche una questione di risorse, per lo più umane. Non è un caso credo che solo le realtà meglio organizzate si possano permettere un'efficace e sistematica elaborazione dei dati provenienti dalla contabilità finanziaria per approdare a risultati di un qualche significato economico. Ma allora, quale può essere l'elemento che sblocca questa panne? Farneti, nell'intervento citato, lancia una provocazione, che in realtà è una proposta concreta: eliminiamo la contabilità finanziaria, che ha finora vissuto di rendita dietro il falso mito che potesse fornire informazioni decisive sulla salute delle finanze pubbliche, e decidiamo che l'unico sistema contabile negli enti locali debba essere quello basato sulla rilevazione in partita doppia. Quest'ultima, sostiene Farneti, contiene tutte le informazioni necessarie per interpretare i dati di bilancio. Diamo il rilievo che meritano ai principi contabili internazionali, opportunamente adattati alle necessità di un servizio pubblico. Altro non serve. La perorazione di una causa come questa sembra cosa facile. La quasi totalità dei responsabili dei servizi finanziari si è formata sui mastrini della contabilità generale, dunque non si chiede al tassista di guidare un jet. Le resistenze più forti, credo, verrebbero da chi deve introdurre (con norme di legge ad hoc) questa potente innovazione. Se gli enti locali devono abbandonare i concetti di stanziamento, impegno, accertamento, infatti, a catena dovrebbero farlo tutte le altre amministrazioni. E un bilancio come quello statale che si regge su tutto tranne che sull'efficienza economica dubito possa essere riconvertito volontariamente in una macchina di trasparenza amministrativa.

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