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venerdì 13 aprile 2007

Guida per riconoscere le tue imposte

Il terreno dove la battaglia è in corso è noto da tempo. Quando la sigla ICI appare all'orizzonte, ogni opinione è ormai lecita: ci sono quelli che la ritengono un'ottima pedina di scambio (a patto di abolirla sull'abitazione principale) per riconquistare consensi elettorali in caduta libera, quelli che vorrebbero eliminarla tout-court perché è un balzello anticostituzionale, quelli che la considerano un baluardo inattaccabile della finanza territoriale e non se ne priverebbero neppure se sotto minaccia, quelli che, infine, non essendo amministratori o parlamentari o fini strateghi politici, si limitano a polemizzare con veemenza, sollevando polveroni un po' a caso all'interno di un discorso che semplificato è dire poco. Mi riferisco, in quest'ultimo caso, all'intervento apparso oggi sulle colonne dello Struzzo giallo, addirittura in seconda pagina. Trattasi di analisi, come precisato dalla testatina, e dunque entriamo anche noi nel merito, per capire fino a che punto si analizza e dove comincia invece la fuffa. La premessa è ovviamente in chiave di propaganda: l'imposta è stata usata da almeno un anno a questa parte come grezzo strumento di marketing politico per raccogliere voti nelle consultazioni elettorali. Pare però che all'autore ciò non dispiaccia affatto, poiché si rammarica che di tutte le promesse per abbassare le aliquote o, al limite, eliminare del tutto il tributo, non è rimasto che il vago olezzo. Ritorna, insomma, il solito argomento delle tasse troppo alte ("furia tassatoria", niente meno) che strozzano l'italiano medio, il quale vorrebbe tanto non pagarne affatto. Ma a questo ragionamento manca sempre l'oste, che vorrebbe fare i conti e suo malgrado continua a mescere il suo vino. I comuni, infatti, erogano servizi (di buona o cattiva qualità, d'accordo, ma è un altro discorso) anche perché li possono finanziare anche con un prelievo generalizzato come l'ICI. Se si ragiona di eliminarla o attenuarla, il minimo che si possa fare è coinvolgere chi la gestisce, senza fare troppo gli spiritosi con le possibili declinazioni dell'imposta, perché quelle citate nel pezzo, pur così eccentriche (numeri pari e dispari, collina o montagna, balconi fioriti o spogli), si sa bene che sono eccezioni, la regola essendo una diversificazione moderata che cerca soprattutto di contemperare proprietà della casa di abitazione e redditi bassi. Purtroppo, anche questo cuscinetto non va bene al nostro Don Chisciotte che preferisce introdurre un dotto riferimento al diritto tributario italiano che non avendo mai contemplato un'imposta patrimoniale, vorrebbe ora (forse pentitosene) fare una parziale retromarcia permettendo ai comuni di applicare una specie di idra, mostro fiscale dalla testa di mattoni e il corpo di banconote. Perché questa ibridazione non sia considerata positivamente non viene spiegato. In realtà, tutte le volte che fa capolino anche solo l'ipotesi di un'imposta patrimoniale si alza una canea tale che, pur di farla terminare, si smette semplicemente di parlarne. Inoltre, è acclarato che gli italiani preferiscono essere proprietari della propria dimora, quindi un tributo che colpisca gli immobili ma agevoli la famiglia che, possedendoli, li abita ne ammortizza gli effetti. Poi, certo, c'è chi ne approfitta inventandosi fantasiose variazioni sul tema, ma sparare al telegiornale in prima serata la bufala dell'abolizione dell'ICI per raccattare quattro voti in più è forse meno populista? E non finisce qui, perché nella tirata finale il nostro parla addirittura di un'imposta applicata d'ora in avanti "secondo visioni di classismo vetero-marxistico (?) o di supposto solidarismo (??) che hanno in comune la celata finalità di fatto espropriativa (???) dell'immobile." Può darsi che i funghi della sera prima abbiamo sortito tardi il loro effetto lisergico, ma per aprire un discorso serio sulla ristrutturazione di un tributo così importante non ricorrerei davvero a metafore da loggia P2. A meno che non si voglia inaugurare un nuovo corso e, insieme all'ICI, eliminare i correlati servizi pubblici. Chi ha, se li paghi da sè. Chi no, s'arrangi. Un esito che è un po' come l'araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.

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