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martedì 17 aprile 2007

Carica al cubo

Se tre è il numero perfetto, allora si spiega facilmente la smania per far approvare prima che sia possibile la legge che allunga la striscia massima dei mandati amministrativi consecutivi. Vuol dire che due volte sulla stessa sedia e con la stessa fascia tricolore non sono proprio sufficienti a titillare l'ego dei politici locali. La tenzone è annosa, ormai. Da un lato, torme di primi cittadini, ampiamente sponsorizzati dalla più prestigiosa associazione di comuni, aspettano di ricevere la notizia che bramano più di ogni altra. Dall'altro lato, un legislatore ancora incerto sul da farsi e una giurisprudenza molto iuris e moltissimo prudente non cede di un millimetro e ad ogni sentenza diffida qualsiasi amministratore dal provare a interpretare a proprio vantaggio una normativa al momento piuttosto rigida, nelle cui pieghe non è ancora possibile trovare il giusto escamotage e prolungare la permanenza in municipio. Mi chiedo spesso quale sia l'argomento a favore del terzo mandato che dovrebbe risultare vincente, incontrovertibile, interamente condivisibile. Non l'ho ancora trovato. L'ANCI, periodicamente, rammenta che, se dieci anni vi sembran tanti, esistono altre cariche elettive per le quali non è previsto un limite di mandati, dunque, perché i sindaci devono fermarsi a due? E poi, povero elettore comunale, perché (testuale) limitargli "la manifestazione di volontà (...) escludendo la possibilità di riconfermare proprio i suoi più diretti rappresentanti"? Ragioni nobili, non c'è dubbio. Perché la democrazia si esercita con il voto e ogni restrizione per causa di legge è vissuta come un cappio al collo del processo partecipativo. In effetti, però, di queste argomentazioni mi piacerebbe dare una lettura differente, ribaltando il ragionamento. Nessuno infatti ha provato a spiegare (a dire la verità non ricordo neppure che qualcuno glielo abbia mai chiesto) perché in dieci anni consecutivi un sindaco non sarebbe in grado di completare un programma amministrativo e in quindici invece sì. Ancora meno comprensibile è la frenesia della candidatura all'infinito di fronte all'evidenza che il divieto riguarda esclusivamente il sindaco, non anche i consiglieri (per non parlare degli assessori, benché nominati e non eletti). D'accordo che la funzione sindacale è carica di responsabilità e carisma, ma si tratta pur sempre di un'insistenza che rasenta il personalismo. Una buona amministrazione si vede soprattutto dalla qualità e dalla tenuta del gruppo dirigente, non certo dalle capacità divinatorie del primo cittadino. Non mi sembra, inoltre, che riproporre costantemente gli stessi nomi per gestire una comunità locale sia un segnale di rinnovamento, anzi. La politica è vissuta come un immoto monolite. Riproporre a livello locale un identico schema rasenta l'autolesionismo. Eppure, l'ANCI si sta spendendo da anni ormai per raggiungere questo obiettivo. Siamo sicuri che nelle comunità amministrate questa battaglia sia vissuta come prioritaria?

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