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martedì 27 marzo 2007

Il legislatore e il vocabolario

Sguainate le sciabole, il duello semantico è iniziato. Pare che neppure le sezioni regionali della Corte dei conti siano riuscite a sottrarsi al più tipico dei virus giurisprudenziali: la contraddizione. E così, su un tema delicatissimo come la riduzione delle spese per il personale hanno iniziato una disputa di pura natura interpretativa, nella migliore tradizione delle magistrature nazionali. Tutto nasce in un fatidico comma della Finanziaria 2006, il 204-ter (benché introdotto nella tiepida estate dello scorso anno con il primo decreto-legge a nome Bersani, n. 223 del 4 luglio). Integrando la disciplina introdotta con il comma 198 che imponeva risparmi sulle spese in questione tali da ridurle dell'1% di quelle sostenute nel 2004 (e nessuno ha sinora provato a spiegare perché proprio quell'anno e non, ad esempio, il 2003 o il 2002), il legislatore sotto il sole caldo aveva mitigato questa improvvisa stretta, escludendo dal calcolo delle spese da ridurre quelle riferite a "le spese di personale riferite a contratti di lavoro a tempo determinato, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa, stipulati nel corso dell'anno 2005", se sostenute però da enti "in condizione di avanzo di bilancio negli ultimi tre esercizi". Il busillis nasce qui. La locuzione "avanzo di bilancio", in realtà non è mai stata usata in un testo di legge. Tanto più che i concetti di "avanzo" sono soltanto due nell'ordinamento contabile: quello economico, che scaturisce in sede di bilancio di previsione dall'eccedenza delle entrate correnti sulle spese correnti, e che può essere utilizzato per spese di investimento, e quello di amministrazione rilevato con l'approvazione del rendiconto. Tertium non datur, quindi. Poiché il testo della norma, purtroppo con un'espressione inventata di sana pianta, si premura di esprimere una valutazione di virtuosità degli enti che potrebbero in tal modo usufruire di uno "sconto di pena", non ci si può sottrarre al solito giochetto delle interpretazioni, in voga quasi più del sudoku. Non ci ha provato neppure l'Agenzia delle Entrate che nella circolare di Ferragosto ha affrontato altre questioni. E così, è toccato alla Corte dei conti prendere di petto il problema, da angolazioni però opposte. Da un lato, la Sezione regionale per la Liguria associa all'espressione "avanzo di bilancio" il concetto di avanzo di amministrazione. In questo modo, la norma assume una valenza più generale e ne può beneficiare un numero elevato di enti. Dall'altro, la Sezione lombarda ritiene che "avanzo di bilancio" non possa che ritenersi quello economico, restringendo dunque la platea degli avvantaggiati. Non solo, andando anche oltre, rileva che l'avanzo economico da prendere in considerazione debba essere quello ricavabile dai consuntivi. E ciò coerentemente con la valutazione dei risultati che deve essere rilevata alla chiusura dell'esercizio. E' anche obiettivamente divertente disquisire di queste sottigliezze che si fanno sostanza operativa quando passano nelle mani delle amministrazioni locali. Ma mi chiedo se non sia l'ora di smetterla con le norme scritte con approssimazione. Se la Corte dei conti fa il suo mestiere e interpreta, agli enti non è concesso che il lusso di applicare, con tutte le conseguenze che da un testo confuso possono scaturire.

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