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mercoledì 7 marzo 2007

Fuori controllo

Mi piacerebbe mettere in discussione l'inevitabilità dell'associazione Regioni-Autonomie locali che pervade la legislazione nazionale. A partire dal contratto di lavoro, che assimila mele e pere ma non riesce a spiegare perché in Regione possono essere in più di mille e nei comuni bisogna aspettare il pensionamento di cinque dipendenti per assumerne uno. Una delle più sconcertanti verità che ci dividono (comuni e province) dalle Regioni è l'assenza in queste ultime di un collegio di revisione esterno. Sono ormai quasi diciassette anni che i comuni e le amministrazioni provinciali incaricano i professionisti dei principali albi contabili per controllare la loro attività gestionale. Con risultati più o meno brillanti, più o meno discutibili. Con la serietà di alcuni e l'accondiscendenza di altri. Ma con la consapevolezza che una norma come quella introdotta dalla vecchia legge 142 ha cambiato in meglio la percezione dell'ente locale come azienda di erogazione e non più come ente para-assistenziale. Le Regioni, invece, hanno resistito alla tentazione di farsi controllare e hanno beatamente continuato a produrre deficit sempre più abnormi con assoluta impunità (l'eccezione della Campania non fa testo, anzi, perché il collegio è costituito da consiglieri). Oggi, a prendere l'iniziativa per interrompere questa discriminazione è proprio la categoria dei revisori. Da quando la Finanziaria 2007 ha cominciato a incrinare il rapporto con i professionisti, riducendone forzosamente il numero nei comuni sotto i 15.000 abitanti, è tutto un fiorire di proposte per recuperare credibilità e per sostenere una campagna promozionale per impedire l'estinzione del revisore comunale. Non ultima appunto, ma paradossalmente di un'equità straordinaria, quella di avvicinare le Regioni e fare un po' di lobbying per diventare prossimamente i controllori degli sprechi dei governatori. Non nego che alcune argomentazioni abbiano un peso importante e soprattutto abbiano un fondamento serio. Ma hanno tutta l'aria di arrivare nel momento meno favorevole per la categoria e quindi suonano sinistramente di opportunismo. Peraltro il punto sembra essere un altro: perché mai le Regioni dovrebbero volontariamente accettare di sottoporsi a un vaglio esterno, perdendo una prerogativa (la spesa allegra) che politicamente paga in modo sostanzioso (in termini di consenso politico, s'intende). Il lavoro ai fianchi delle associazioni dei revisori deve dunque essere indirizzato al legislatore nazionale che non dovrebbe più ignorare questa lacuna.

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