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sabato 10 febbraio 2007

L'erba fasciata

Sillogismi pericolosi si diffondono nella discussione su come migliorare la produttività nel settore pubblico. La logica appare stringente. Le amministrazioni pubbliche sono inefficienti. I comuni sono pubbliche amministrazioni. Dunque i comuni sono inefficienti. Mai come in questo caso, però, direi che sono necessari, di più: indispensabili, dettagliati distinguo. Che andrebbero ribaditi con la stessa enfasi con la quale si procede al ragionamento deduttivo. Mi riferisco, in particolare, al pure interessantissimo dibattito originato la scorsa estate da un intervento appassionato di Pietro Ichino sulla sostanziale impunità del dipendente pubblico di fronte a palesi violazioni dei propri doveri d'ufficio. L'interesse del tema sta, mi sembra, nella necessità di scoperchiare finalmente una pentola che ha continuato a bollire senza che qualcuno si ricordasse di spegnere il fuoco. Cioè, diciamo senza troppi trucchi che ci sono sacche di inefficienza, nella pubblica amministrazione, che tutti sanno esistere (se non altro per aver frequentato qualche ufficio pubblico) ma che, finora, hanno goduto di una sorta di immunità per ragioni molteplici (non necessariamente riconducibili alla protezione sindacale, che pure ha giocato un ruolo importante). La discussione si è poi ulteriormente sviluppata con l'intenzione di giungere a un protocollo comune che, finalmente, su base legale, restituisca dignità a chi svolge bene il proprio compito e sanzioni in modo certo chi invece preferisce imboscarsi. E chi non è d'accordo con un messaggio del genere? Il punto è che, in gran parte degli interventi (le eccezioni esistono sempre a confermare la regola), la valutazione dell'efficienza è riferita in modo semplificato alla Pubblica Amministrazione nel suo insieme, senza operare una distinzione di metodo (prima ancora che di merito) tra i suoi numerosi comparti e senza verificare che quanto si riporta abbia valore erga omnes. La difesa d'ufficio di un intero settore (quello appunto degli enti locali) non ci compete; tanto più che all'interno dello stesso comparto le differenze di efficienza sono a mio parere sostanziose. Ma quello che va considerato innanzitutto è il rapporto tra numero di dipendenti della P.A. interessata e numero di potenziali "clienti". Una distribuzione statistica di questo tipo farebbe emergere, credo, la difficoltà operativa nella quale lavorano migliaia di enti, fra l'altro limitati nelle loro possibilità di assumere dai vincoli più recenti dei D.P.C.M. tuttora in vigore, nonché da quelli introdotti a carico dei comuni soggetti al patto di stabilità. Tali limiti si riflettono nella qualità complessiva dei servizi offerti e, nonostante ciò, molti enti svolgono i propri compiti più che egregiamente. Se poi l'ARAN rileva incrementi nelle retribuzioni pubbliche fuori linea rispetto all'inflazione, dovrebbe essere automatico procedere a disaggregare quei dati e dimostrare se di tale aumento sono responsabili e in che misura le amministrazioni locali. Di fatto, come è noto, la contrattazione decentrata integrativa può pesare in modo sostanzioso sul totale delle retribuzioni. Tuttavia come non sottolineare che, un conto è sostenere che tali incrementi sono omogenei all'interno del comparto ministeriale, altro invece ritenere che ciò sia dimostrabile per ciascuno degli ottomila enti nei quali il compenso incentivante è oggetto di contrattazione con la parte pubblica. In ballo c'è non solamente la sburocratizzazione degli apparati (desiderio generalizzato a cui si associano anche i comuni, quando hanno a che fare con enti pubblici elefantiaci), c'è direi la percezione (tuttora pessima) che l'opinione pubblica ha del dipendente pubblico e, dunque, di quello comunale. I primi a doversi distinguere siamo ovviamente noi. Ma la mancanza di oggettività nell'informazione può solo peggiorare le cose.

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